19 Settembre 2024
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Economia

Perché le terre rare non hanno aiutato il Vietnam?

Isola di Cat Ba, Vietnam.

Il governo di Hanoi possiede il secondo giacimento di metalli preziosi più grande al mondo dietro alla sola Cina. Ma nel 2023 riesce a estrare solo 600 tonnellate a fronte dei 240mila che produce il vicino confinante. Oltre alla corruzione, esistono delle motivazioni obiettive che vietano al Paese di sfruttare al meglio le proprio risorse.

Con riserve stimate a 22 milioni di tonnellate, il Vietnam rappresenta il secondo più grande giacimento di terre rare al mondo dietro alla sola Cina. Una ricchezza dal valore potenziale inestimabile, che però non viene sfruttato come si potrebbe. Questo a causa di molti fattori, tra cui la corruzione dilagante nelle principali aziende del Paese e la carenza relativa a infrastrutture e know-how.
Il nome “terre rare” definisce un gruppo di 17 elementi che fanno parte della famiglia dei metalli. L’aggettivo “rare” non si riferisce alla loro scarsità, ma alla difficile identificazione e alla complessità di processi di estrazione e lavorazione. Il ruolo che questi ricoprono nell’economia e nell’industria di oggi è fondamentale e, con ogni probabilità, lo sarà ancora di più in quella di domani: le terre rare sono utilizzate in numerosi settori come quello aerospaziale, medico, della difesa, delle energie rinnovabili, automotive e petrolchimico, ma sono necessarie anche per produrre batterie ricaricabili, TV e LCD e vari tipi di apparecchi elettronici. È evidente come, per un Paese in grado di sfruttarle ed esportarle, possano costituire un asset di primaria importanza.
Nonostante le riserve di terre rare in Vietnam siano ingenti, il Paese è riuscito a produrne solo 600 tonnellate nel 2023: una quantità irrisoria se si pensa che nello stesso anno la Cina ha raggiunto le 240mila tonnellate. Pechino da solo controlla il 70% dell’estrazione e il 90% della capacità di lavorazione (secondo dati dell’Agenzia internazionale dell’Energia), instaurando quello che di fatto è un monopolio, con conseguenze che si riverberano su tutta l’economia mondiale.

I motivi per cui il Vietnam non riesce a far fruttare l’enorme ricchezza su cui è seduto sono molteplici. Innanzitutto, la produzione è rallentata dalle scarse capacità tecnologiche del Paese. Gran parte dei giacimenti di terre rare sono ancora intonsi e nonostante gli obiettivi fissati dal governo di Hanoi, che alza l’asticella di anno in anno e riuscendo a decuplicare la produzione nel 2023 rispetto a due anni prima, è praticamente impossibile tenere il ritmo dettato dalla Cina. Ci sono i depositi, ma mancano il capitale umano e la competenza ingegneristica. Al conteggio vanno poi aggiunti gli elevati costi in termini di impatto ambientale che derivano dall’estrazione e che risultano difficilmente sostenibili. A rallentare lo sviluppo del settore nel Paese sono anche i recenti arresti per corruzione tra i vertici delle più importanti aziende che operano nel ramo. Eventi che hanno non solo congelato i piani del governo, ma anche frenato l’entusiasmo con cui i Paesi esteri si accingevano agli investimenti.
Le riserve di terre rare in Vietnam fanno gola a molti. Gli Usa innanzitutto vorrebbero che il Paese riuscisse ad aumentare la propria produzione per diventare un’alternativa reale alla Cina. Una speranza condivisa da Corea, Giappone e Australia che vedrebbero di buon occhio la possibilità di non dipendere più totalmente da Pechino il quale, non avendo praticamente rivali, può permettersi al momento di tenere le redini del mercato. Il Vietnam ha le carte giuste per poter entrare nella partita e se capirà come giocarle al meglio potrebbe assumere un ruolo decisivo.

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