15.09.2024
Il 96% delle aziende reputa la lingua inglese un requisito fondamentale per il proprio business. Se nel 1980 la popolazione mondiale bilingue era al 9,6% e oggi si attesta a quota 43%, perché l’Italia, nonostante il forte iimpegno, è ancora tra gli ultimi?
Do you speak English? Sì, ma non troppo. Secondo i dati Eures, infatti, l’Italia si classifica 35esima nel mondo per conoscenza della lingua inglese. Sui primi tre gradini del podio ci sono rispettivamente Paesi Bassi, Austria e Danimarca, mentre Spagna e Francia, per esempio, si classificano una a pari merito con il Bel Paese e una al 43esimo posto. E il dato resta drammatico anche a livello europeo, con l’Italia che si piazza 26esima su 35. Nello specifico, solo il 19,7% dei giovani italiani parla fluentemente inglese, e possiede un livello di competenza C1 o C2, e dunque molto alto. E c’è un 43,5% che ha almeno un livello B2, ossia una competenza comunque medio-alta. Ma rispetto al resto d’Europa (ma anche a livello globale) i passi che si potrebbero fare in avanti sono davvero grandi.
In questo scenario, da un lato è curioso osservare come nel corso degli ultimi decenni siano aumentate le scuole specializzate nell’apprendimento della lingua inglese, il che testimonia una maggiore domanda e una maggiore volontà di approfondire lo studio. Un dato, questo, che è diffuso non solo a livello locale, ma globalmente: secondo i dati Eurostat, infatti, se nel 1980 la popolazione mondiale bilingue era al 9,6%, ad oggi si attesta a quota 43%. Dall’altra parte, però, sorge spontaneo domandarsi come mai in Italia facciamo ancora fatica a parlare inglese. Perché la consapevolezza non manca: sappiamo bene che per viaggiare all’estero la conoscenza di questa lingua è indispensabile. E sappiamo bene che sempre più aziende – ben il 96% secondo gli ultimi sondaggi – reputa l’inglese un requisito fondamentale per il proprio business.
I più fortunati di noi, l’inglese, hanno iniziato a studiarlo alle scuole elementari, anche se in ritardo rispetto ad altri Paesi – come, per esempio, i Paesi del Nord, dove si inizia ancora prima lo studio di una seconda lingua. Ma spesso i docenti non sono madrelingua, o con essi si organizzano solo incontri occasionali. Ancora, la discontinuità didattica: la situazione di precariato che ormai mette in ginocchio la nostra istruzione da anni, crea degli ostacoli anche nell’apprendimento (e non solo della lingua inglese), con gli studenti che ogni anno hanno a che fare con docenti diversi. E se è vero che esistono possibilità di vacanze studio e soggiorni all’estero organizzati dalle scuole stesse, è anche vero che nella maggior parte dei casi hanno dei costi proibitivi e non accessibili a tutte le famiglie. E dunque una possibilità che diventa un privilegio. Ed ecco che, per molti, lo studio più completo di una lingua diventa un investimento da fare in età adulta, quando si ha uno stipendio proprio e non si grava più sulle spalle della famiglia.