23 Giugno 2025
/ 23.06.2025

Plastica, le nuove regole

I dati mostrano un equilibrio fragile nel commercio di rifiuti plastici verso i paesi non Ocse. Senza un sistema di vigilanza globale più efficace, il rischio è che possa ripartire una nuova ondata di dumping ambientale

Secondo il rapporto Ocse 2025 – Monitoring trade in plastic waste and scrap – il commercio mondiale di rifiuti plastici si è ridotto di circa il 50 % tra il 2014 e il 2023, in buona parte dopo la svolta cinese del 2018 (National Sword) e i successivi emendamenti alla Convenzione di Basilea e alla Decisione Ocse del 2021.

Tuttavia, la riduzione globale non implica una cessazione del fenomeno: le esportazioni da Paesi Ocse verso destinazioni extra-Ocse (come Malesia, Indonesia e Vietnam) sono aumentate del 15% tra il 2022 e il 2023, corrispondenti a 0,22 milioni di tonnellate. Il report Ocse sottolinea come Paesi come Giappone, Paesi Bassi, Germania e Regno Unito siano tra i principali esportatori verso alcuni Paesi del Sud-Est asiatico.

Esportazioni a basso valore: la questione della qualità

La distinzione tra flussi inter-Ocse e verso non-Ocse non è solo geografica, ma anche qualitativa: i rifiuti destinati verso i primi tendono a essere di alta qualità e facilmente riciclabili; quelli indirizzati verso economie meno sviluppate presentano spesso contaminazioni, inferiori valori commerciali e più bassi tassi di riciclo.

Il caso emblematico riguarda i rifiuti Pvc: circa 30 000 tonnellate esportate nel 2023, di cui circa due terzi provenienti dal Giappone, a Paesi con sistemi di smaltimento ancora insufficienti.

Controlli rigorosi, ma efficacia limitata

Le modifiche alla Convenzione di Basilea (2021), con l’introduzione del meccanismo Pic (Prior Informed Consent), avrebbero dovuto arginare le esportazioni di plastica “problematic waste”. E in parte è accaduto: i controlli hanno avuto un effetto deterrente.

Ma emergono criticità. Prima di tutto per discrepanze nei dati: 200 000 tonnellate di rifiuti Pvc risulterebbero in Comtrade, ma solo 84.000 tonnellate sono ufficialmente notificate al Segretariato di Basilea. Il sistema di tracciamento, inoltre, può essere aggirato, soprattutto classificando rifiuti in forme alternative, quali combustibili derivati (Rdf/Pef), o come “materie prime secondarie”. I flussi transfrontalieri, infine, avvengono spesso senza notifiche o con documentazione insufficiente.

L’offensiva normativa dell’Unione Europea

Bruxelles ha deciso di reagire con una presa di posizione netta: dal 2026, sarà vietata l’esportazione di rifiuti plastici non pericolosi verso paesi extra-Ocse, a meno che questi non abbiano dimostrato autonomamente una gestione ambientale adeguata. L’accordo, approvato nel novembre 2023 e ratificato a febbraio 2024, prevede inoltre regole più severe anche per flussi intra-Ocse e standard di trasparenza e controllo digitali,

Nel mentre, alcuni paesi del Sud-Est asiatico reagiscono. La Thailandia, ad esempio, ha vietato dal gennaio 2025 le importazioni di plastica usata, per contenere l’inquinamento da combustione illegale e tutelare la salute pubblica. Tuttavia, altri, come Malaysia e Vietnam, restano hub strategici, dove spesso gran parte dei flussi finisce in discariche non conformi ai criteri di riciclo ambientale.

Oltre le regole, serve una governance globale

I dati mostrano un equilibrio fragile: controlli e restrizioni producono risultati, ma i rischi di controlli aggirati ed esportazioni di rifiuti non riciclabili restano elevati. Senza un sistema di vigilanza globale più efficace – basato su monitoraggio digitale dei flussi, responsabilità estesa dei produttori (Epr), sanzioni e trasparenza amministrativa, supporto a infrastrutture di trattamento nei Paesi importatori – il rischio è che possa ripartire una nuova ondata di dumping ambientale. Come osserva l’Ocse, i progressi ci sono, però “la tregua è fragile”.

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