“Dal 1944 le calamità naturali sono costate all’Italia 310 miliardi di euro”. Questa è la frase che emerge dal web se si fa una ricerca su questo tema. E già fa riflettere. Ma non dice tutto. Forse non dice l’essenziale. E l’essenziale è che il ritmo di crescita dei danni da alluvioni e siccità è tale da mettere in discussione l’aggettivo che regge la frase: “naturali”.
Se queste calamità fossero naturali avrebbero un andamento che, con alti e bassi, segue un ritmo di lungo periodo. Invece la crescita negli ultimi anni è stata rapidissima, anomala. Tra il 2010 e il 2023 la spesa per i danni da dissesto idrogeologico è triplicata, raggiungendo una media annuale di circa 3,3 miliardi di euro. I dati complessivi sui danni elaborati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) tengono assieme terremoti, alluvioni, frane e altri eventi estremi. Ed è la parte legata al ciclo dell’acqua quella che sta cambiando velocità.
Dunque se prima era meglio non distrarsi, ora la massima attenzione diventa obbligatoria. Oltre al monitoraggio (essenziale per capire) servono gli interventi (altrimenti capire serve a poco). E qui si entra nell’area più critica. Emersa dagli Stati Generali della Protezione Civile, in corso in questi giorni a Roma, nella sede di Confindustria.
Il ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, Nello Musumeci, ha evidenziato la necessità di accelerare gli interventi per la messa in sicurezza del territorio italiano. Secondo il ministro, questo obiettivo potrebbe essere raggiunto in 15-20 anni, con un investimento di decine di miliardi di euro. Tuttavia, ha rivelato Musumeci, negli ultimi 10-15 anni circa 6 miliardi di euro destinati alla prevenzione non sono stati spesi: “Stiamo cercando di capire dove sia l’anello debole della filiera. Mentre la gente muore, non è possibile immaginare che il denaro per la prevenzione resti inutilizzato”. E ha aggiunto: “Abbiamo bisogno di comprendere che il cambiamento climatico ha esasperato la vulnerabilità del territorio nazionale. Se questo non viene compreso innanzitutto da chi vive sul territorio a rischio, l’impresa della Protezione Civile diventa difficile”,
Il problema non sono solo i soldi non spesi, ma le scelte complessive sugli investimenti che concedono poco spazio e pochi fondi alle tecnologie più innovative. Secondo il rapporto Città Clima 2023 di Legambiente, l’Italia ha registrato 378 eventi climatici estremi solo nel 2023, con un incremento del 22% rispetto all’anno precedente. Tra questi, frane, alluvioni, trombe d’aria e ondate di calore hanno danneggiato seriamente infrastrutture, abitazioni e coltivazioni. Le città più colpite sono state Milano, Roma, Napoli, Palermo e Bologna, sintomo di una vulnerabilità urbana che necessita di un piano di adattamento climatico serio e diffuso.
Questo piano dovrebbe includere: il rifacimento del sistema fognario nelle aree metropolitane; il potenziamento delle infrastrutture verdi come parchi, tetti verdi e barriere naturali; l’adozione di Piani Clima locali. Ogni euro investito in prevenzione, secondo Legambiente, ne fa risparmiare fino a 6 in spese di emergenza e ricostruzione.
Anche Greenpeace chiede una decarbonizzazione totale del sistema energetico entro il 2040, con un’accelerazione sulle rinnovabili e l’efficienza energetica. Sottolineando che prevenire conviene più che ricostruire.