Il Ponte sullo Stretto di Messina torna a infiammare il dibattito politico e internazionale. Dopo le parole dure dell’ambasciatore statunitense alla Nato, Matthew Whitaker – che ha bollato come “contabilità creativa” l’ipotesi di includere l’infrastruttura tra le spese per la difesa – il governo italiano si ritrova sotto accusa non solo per l’impatto ambientale e i costi del progetto, ma anche per la gestione contraddittoria del dossier in chiave atlantica.
Nelle ultime ore il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato da Matteo Salvini, ha diffuso una nota netta: il ponte “è interamente finanziato con risorse statali e non sono previsti fondi destinati alla Difesa”. “L’opera non è in discussione”, ribadisce il Mit, precisando che l’eventuale utilizzo di risorse Nato “non è all’ordine del giorno e non è una necessità irrinunciabile”.
Un chiarimento che sembra voler spegnere le polemiche innescate da Bloomberg e riprese da diversi media internazionali, secondo cui l’Italia stava valutando se inserire l’opera tra gli investimenti validi a raggiungere l’obiettivo Nato del 5% del Pil in spesa militare.
Eppure, solo pochi giorni fa, alla Camera, la linea del governo era stata diversa. Rispondendo a un’interpellanza del leader dei Verdi, Angelo Bonelli, il sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco aveva confermato che il Ponte rientra nel “Military Mobility Action Plan 2024” dell’Unione europea, collocandolo come “infrastruttura coerente con le linee guida NATO ed europee in tema di sicurezza integrata e mobilità strategica”. Una risposta che suonava come un’apertura esplicita alla possibilità di far rientrare il progetto nel 1,5% del Pil destinato alle infrastrutture dual-use, cioè opere civili che in caso di necessità possono essere utilizzate anche per fini militari.
La divergenza è evidente: da un lato, il governo assicura che il ponte non è e non sarà considerato una spesa militare; dall’altro, in sede parlamentare, lo colloca pienamente dentro la cornice europea di mobilità strategica. La polemica italiana si inserisce in un quadro più ampio: gli Stati Uniti vigilano con attenzione sui contributi degli alleati e rifiutano soluzioni contabili che possano gonfiare artificialmente le spese militari. Whitaker è stato chiaro: “Ponti che non hanno alcun valore strategico non possono essere conteggiati”.