15 Maggio 2024
Milano, 15°

Società

Posseduti dalla comunicazione tribale

Contrastare l’odio virtuale diventa d’obbligo. Le piattaforme social rappresentano un modello di business che premia risposte aderenti a quelle dell’utente. Politica, società, calcio, ogni scusa è buona per far scoppiare una “flame war”, incentivando il dialogo conflittuale attraverso un livello di comunicazione tronca.

Sui social ci vuole poco a far scoppiare una flame war, letteralmente una “guerra di fiamme”, in pratica una rissa virtuale. Si è più suscettibili e più aggressivi: l’odio esplode e dilaga in un attimo. Si parla di leoni da tastiera, hater, troll, odiatori seriali… ma non sono solo gli “altri” il problema. Un po’ tutti nelle discussioni online siamo pronti a dare il peggio.
Non c’è un argomento che più di un altro fa scoppiare l’odio social. Politica, società, calcio, gli ingredienti della carbonara, la scelta tra panettone o pandoro: ogni scambio di opinioni può tramutarsi in un’escalation di aggressività che passa per gli insulti e arriva alle minacce. Ma perché accade? «Si attiva un ‘confirmation bias’ a livello individuale che ti porta a selezionare i contenuti che ti piacciono e lì rimani. A livello sociale il confirmation bias si innesca perché incontri persone che la pensano come te, si formano così le echo chambers, la forma strutturale che porta all’emergenza della polarizzazione. Qui la comunicazione diventa tribale. Difendi il tuo totem e contrasti quello degli altri», spiega Walter Quattrociocchi, direttore del Center for Data Science and Complexity for Society della Sapienza di Roma, a The Watcher Post. Un comportamento, questo, incentivato dal business model delle piattaforme che premia le risposte aderenti a quelle dell’utente.

Tra i primi motivi per cui sputare odio in rete sembra così semplice, l’anonimato e la sensazione di protezione data dallo schermo, che fa sentire immuni da conseguenze e responsabilità. Gli spazi poco moderati, come i social, danno l’illusione che tutto sia concesso e che le regole del vivere civile possano essere accantonate.
A volte dietro all’odio social c’è chi approfitta dell’ambiente online per inscenare una personalità diversa dalla propria, o al contrario di chi si serve della circostanza per sfogare la rabbia repressa. Persone alla ricerca di apprezzamento intuiscono che la risposta tranchant garantisce un raccolto più ricco in termini di like. Tali comportamenti possono aver a che fare con disturbi legati al narcisismo o con problemi di autostima. Voler dimostrare una sicurezza, che non si ha, fa sentire in diritto di essere aggressivi.
L’odio social è stimolato dall’assenza di quella parte della comunicazione che non è fatta di parole: tono della voce, sguardi, gesti… Un commento chiaramente bonario in una conversazione in presenza, può essere letto in video come un attacco feroce che chiede vendetta. Si risponde con aggressività per reagire a una presunta minaccia e dall’altra parte si trova qualcuno che non è disposto a cedere: degenerare diventa facilissimo.
Allora che fare per arginare la deriva d’odio? Se ci si trova ad essere la “vittima” basta non alimentare la fiamma: non rispondere, disconnettersi e se necessario bloccare l’altro. Quando a “odiare” siamo noi, il primo passo è rendersi conto che stiamo andando oltre, contare fino a 10, dare il giusto peso alla discussione e abbassare i toni. E anche in questo caso, mettere via lo smartphone può essere utile.

Condividi