10 Novembre 2024
Milano, 10°
Il fiore del crocus che emerge dalla neve. Paesaggio montano in primavera.

Punto a Capuo

Quando finisce l’inverno

25.03.2024

La cosa peggiore dell’attentato di Mosca, dopo la morte di vittime innocenti, è la mancanza di innocenza di noi che assistiamo. Le domande di sempre – “chi è stato?”, “a chi giova?” – sono una continuazione delle guerre con altri mezzi, sia pure incruenti e comodi, ma tutti impietosi, a dimostrarci che le guerre non rendono peggiori solo quelli che le combattono, ma anche quelli che vi assistono. Ridotti a tifare per una pista o per l’altra, a dubitare di un interrogatorio o a sbandierarlo. I dati quasi certi sono pochi, finora: i terroristi sono tagichi; sono stati fermati – e maltrattati – a 125 chilometri dalla frontiera con l’Ucraina.
Ci sono state almeno due rivendicazioni dell’Isis K, vale a dire lo Stato Islamico della provincia del Pakistan, dell’Iran e dell’Afghanistan, e tutte attraverso un canale abituale dell’ISIS, Amaq. Da quanto emerge dagli interrogatori, i terroristi sarebbero stati reclutati non con la devozione dei martiri, ma con il denaro, e neppure tanto (ciò spiegherebbe le perplessità sulla fotografia di rivendicazione con il braccio sbagliato). A reclutarli, in Turchia, un “handler” che avrebbe curato, a Mosca, anche la logistica (auto, armi). Se cercate nella vostra memoria “ISIS e Turchia” viene fuori un maldestro attentato dello scorso 28 gennaio, quando due terroristi fecero irruzione nella chiesa cattolica di Santa Maria, a Istanbul, uccidendo solo un povero uomo che li aveva affrontati, perché le armi si erano inceppate. La polizia turca aveva arrestato una quarantina di sospetti, indicando in un tagiko e un russo i due attentatori. Ma il principale sospettato dell’operazione era riuscito a sfuggire e sarebbe stato un uomo con legami con Isis K.

È in grado di fare attentati meno maldestri, ISIS K? È disponibile a colpire anche quelli che sono nemici dei suoi nemici, il Grande Satana, l’Occidente dei crociati ecc.? Isis K ha firmato l’attentato, il 3 gennaio scorso, in Iran, nei pressi della tomba di Suleimani, l’inventore dell’”asse della resistenza”: centinaia di morti. Isis K ha colpito a Kandahar, la capitale morale dei talebani afghani. E la stessa Russia, tra il 2016 e il 2019, è stata oggetto di 8 attacchi terroristici, a firma varia o senza firma, ma riconducibili al terrorismo islamico.  Piccoli indizi, certo. Poi, se ci piace pensare che Putin si è fatto l’attentato da solo, se ci piace pensare che c’è lo zampino di Zelensky, che la Cia avverte del pericolo perché ha le mani in pasta, che i servizi russi instradano i colpevoli verso la frontiera ucraina, che i servizi ucraini hanno chiuso un occhio o profittato di questi improbabili alleati, ecco tutto questo furore tifoso non mi sembra aver a che fare con la volontà di capire. Ha a che fare con una guerra che ormai ci attraversa, in un tempo, esattamente come il Covid, dal quale non usciremo migliori.

L’unico dettaglio che mette tenerezza (ce ne sono molti altri, nelle storie di chi era andato a quel concerto e vi ha trovato la morte, ma stavolta non ci siamo soffermati sulle storie individuali, è stata una morte all’ingrosso, come se i russi non avessero individualità, e persino portare un fiore ai consolati russi è stato visto da entrambi i lati come un gesto di appartenenza, pietà l’è morta) è il nome di quella Hall, Crocus. Un piccolo fiore che sa di fine dell’inverno, mentre l’abbigliamento dei civili in coda per donare il sangue e dei poliziotti sulla scena del crimine mostra che non è primavera.

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