19 Maggio 2024
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Cronaca, Esteri

Quintuplicarsi non basta

08.05.2024

Ossessionato dalla nostalgia per il passato, Vladimir Putin traguarda i 31 anni di governo vissuti da Stalin. La sua scommessa sull’influenza globale potrà soltanto rassicurare le generazioni più anziane del proprio popolo. Cleptocrazia, Cina ed età avanzata resteranno per lui un limite insuperabile. L’Ucraina, sogno decisivo.

Al potere tanto quanto Stalin: è questa la sintesi del quinto mandato presidenziale di Putin, re-insediatosi al Cremlino il 7 maggio dopo essersi aggiudicato senza troppa difficoltà le elezioni di metà marzo 2024. Josif Stalin, il “piccolo padre” uscito vincitore dalla Seconda guerra mondiale, resse l’URSS dal 1922 al 1953 come segretario generale del suo Partito Comunista. Vladimir Putin ha iniziato a gestire la Russia nel 1999 come primo ministro e smonterà nel 2030, dopo 31 anni dei quali 26 da presidente e cinque da primo ministro.

Un primato ragguardevole, che potrebbe aumentare ancora in caso di sesto mandato. Il lungo arco temporale di Putin coincide con il superamento della grande crisi innescata dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma anche con la scomparsa di ogni speranza di libertà e democrazia. Al centro dell’azione politica di Putin c’è, infatti, la ricostruzione dello status internazionale della Russia, a lungo puntellato solo dal seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU e dall’arsenale atomico, ma che da qualche anno è tornato a riempirsi – o almeno, a tentare di riempirsi – di influenza globale. È attorno a questa scommessa che si regge la comunicazione interna, che punta a rassicurare soprattutto le generazioni più anziane, orfane di un mondo bipolare nel quale l’arretratezza tecnologica e il basso reddito procapite non impedivano all’URSS di imporre al mondo il proprio punto di vista e i propri interessi.

Putin non ha mai fatto mistero di considerare una tragedia la dissoluzione dell’URSS, avvenuta nel 1991 e mai sostituita dalla Confederazione degli Stati Indipendenti, perché proprio la pretesa di una piena ed effettiva indipendenza è ciò che la Russia non è disposta ad accettare. Ciò che cerca è una sfera d’influenza più o meno coincidente con il vecchio Patto di Varsavia (meno la Polonia e le repubbliche baltiche, ma con l’aggiunta della Serbia), con fasce d’autonomia direttamente proporzionali alla distanza da Mosca. Ripristinando sotto altra forma la situazione pre-1991, tornerebbe a essere legittimata la “cleptocrazia”, come la giornalista Anna Politkovskaya definì il sistema che arricchiva gli “oligarchi” in cambio del consenso a Putin: un matrimonio fondato sugli interessi di pochi, nel quale la Mosca slava domina la Russia multietnica e questa a sua volta domina le repubbliche circostanti.

L’invasione dell’Ucraina ha impresso diversi cambiamenti a questa linea. Il primo è la ricerca di un evento fondante indipendente dall’eredità sovietica: una Russia sempre più di Putin, in ogni senso. Il secondo è la creazione di un modello alternativo a quello democratico occidentale: una società più povera, più tradizionale, più chiusa, centrata sull’affermazione con la forza anziché con il convincimento. Rispetto all’URSS, alla quale somiglia sempre più, la differenza più cruciale della nuova Russia è però quella meno gradita: in questa gara contro l’Occidente, la guida è sempre più saldamente in mano alla Cina, che con un’economia tripla di quella russa può permettersi una politica estera attiva senza aggressioni militari.

Tutto questo, beninteso, se un’eventuale sconfitta in Ucraina non dovesse far deragliare il quinto mandato e mostrare lo squilibrio di questa linea. Se dovesse andare così, il primato della durata di governo potrebbe tornare in mano a Stalin, che morì nel 1953 a 74 anni d’età. Putin taglierà quel traguardo nel 2026, ma con “soli” 27 anni di regno.

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