Un nuovo report delle Nazioni Unite punta il dito contro Israele con un’accusa molto pesante: la pratica della tortura come metodo abituale nei confronti dei detenuti palestinesi. Non episodi isolati, non eccessi sporadici di singoli soldati, ma un sistema strutturato: questa è la lettura degli esperti che hanno analizzato documenti, testimonianze e casi segnalati negli ultimi anni.
Il dossier fa riferimento al periodo successivo alla guerra a Gaza iniziata nel 2023, quando il numero di arresti è aumentato e i centri di detenzione si sono riempiti. Secondo l’Onu, le condizioni descritte dai prigionieri raccontano un quadro inquietante: pestaggi continui, privazione del sonno, isolamento prolungato, denutrizione, mancanza di cure mediche e trattamenti umilianti. In alcuni casi si parla di violenze estreme, inflitte a uomini, donne e perfino minori. Nei centri di detenzione, sostiene il rapporto, i prigionieri sarebbero stati lasciati per giorni senza poter mangiare a sufficienza, senza accesso ai servizi igienici e senza la possibilità di parlare con la famiglia o con un avvocato.
Migliaia in prigione senza processo
Per comprendere appieno la portata di queste accuse, il report descrive episodi concreti che rivelano la brutalità del sistema. I detenuti parlano di pestaggi con bastoni e calci alle costole fino a perdere conoscenza, di prigionieri costretti per ore in posizioni dolorose senza poter muovere gambe e braccia, di uomini lasciati nudi al freddo come forma di punizione. In diversi casi vengono riportate fratture non curate, denti spezzati, infezioni lasciate peggiorare fino a diventare irreversibili. Alcuni raccontano di essere stati picchiati mentre avevano le mani legate, altri di aver subito violenze sessuali o minacce ai membri della famiglia per estorcere confessioni. Si parla anche di detenuti costretti a rimanere rannicchiati in celle sovraffollate, senza accesso alla luce naturale né alla possibilità di lavarsi. Di attacchi di cani, scosse elettriche, waterboarding.
Un altro elemento allarmante è l’uso esteso della detenzione amministrativa: migliaia di persone trattenute senza accusa formale e senza processo, sulla base di valutazioni di sicurezza non rese pubbliche. Lo stesso avviene per decine di bambini e adolescenti, detenuti con modalità che contraddicono le convenzioni internazionali sull’infanzia. È qui che il rapporto alza ulteriormente il livello di allarme: se lo Stato può detenere e maltrattare minori senza un controllo giudiziario efficace, significa che l’eccezione è diventata regola.
Abusi impuniti
Il documento sottolinea anche un altro aspetto: l’assenza quasi totale di responsabilità penale per chi commette abusi. In due anni, l’unica condanna formale registrata riguarda un singolo militare, punito con pochi mesi di detenzione nonostante la gravità dei fatti attribuiti. Per il resto, le denunce finiscono in un labirinto burocratico da cui non escono più. Chi è stato picchiato non trova un giudice, chi ha subito violenze non ottiene protezione, chi ha perso un familiare in custodia non riceve risposte.
Il quadro complessivo è quello di un sistema che, di fatto, normalizza la tortura come strumento di controllo. Le conseguenze politiche potrebbero essere enormi: se confermate, queste pratiche non solo violerebbero il diritto internazionale, ma metterebbero in discussione la credibilità istituzionale di Israele nei confronti della comunità mondiale, soprattutto in un momento in cui il conflitto con Gaza continua a generare tensione regionale e umanitaria.
L’Onu chiede indagini indipendenti, responsabilità penali, protezione per le vittime e trasparenza. Ma se le istituzioni israeliane continueranno a respingere le accuse e a negare l’accesso agli osservatori, il rischio è che questo rapporto si trasformi nell’ennesimo fascicolo chiuso in un cassetto diplomatico. Mentre, dietro le porte dei centri di detenzione, le storie raccontate nel rapporto continuano ad accadere.
