Ricaricare un’auto elettrica in Italia, oggi, può costare più di un pieno di benzina. Non è un’impressione, ma il dato che emerge dall’Osservatorio Prezzi delle Tariffe di Ricarica della Mobilità Elettrica di Adiconsum, presentato agli Stati Generali della Ricarica a Bologna qualche settimana fa, nell’ambito delle fiere Traffic ed E-Charge. Un paradosso che rischia di rallentare proprio quella transizione su cui si gioca una parte importante delle politiche ambientali ed energetiche del Paese.
Il primo nodo è il differenziale tra ricarica domestica e pubblica. Nelle case, si può spendere attorno ai 25-30 centesimi per kWh, con tariffe elettriche residenziali e talvolta con piani dedicati. Su strada, per la stessa energia, il conto sale: circa 60 centesimi alle colonnine in corrente alternata (Ac), poco più di 70 in corrente continua (Dc), fino a punte di 80 sulle ricariche ad alta potenza (Hpc). Non si parla di eccezioni: i rilievi di Adiconsum indicano A2A a 60 centesimi/kWh in Ac, con Enel X Way e Neogy a 45; per le Dc, Plenitude ed Ewiva intorno ai 70 contro i 45 di Enel X Way; sulle Hpc, Ewiva e Ionity poco sopra i 60, mentre Tesla, caso a sé, scende intorno ai 30 in alcune stazioni. È un quadro disomogeneo, che disorienta gli utenti e rende difficile prevedere i costi reali di esercizio.
Secondo Mauro Vergari, direttore dell’Osservatorio prezzi di Adiconsum, l’asticella di sostenibilità economica andrebbe abbassata in modo deciso: 30-35 centesimi/kWh per l’Ac, 40-45 per la Dc, 50-55 per l’Hpc. Soglie che non sono solo un auspicio: sono l’ordine di grandezza necessario perché anche chi non ha un box o un posto auto con presa domestica non sia penalizzato rispetto a chi si rifornisce nel proprio garage. La questione è di equità, ma anche di efficacia delle politiche pubbliche: se la ricarica pubblica resta troppo cara, la platea potenziale di utenti si restringe e la diffusione dei veicoli elettrici rallenta.
Trasparenza delle tariffe
Perché si paga così tanto su strada? Una parte della risposta sta nella struttura dei costi. La ricarica pubblica incorpora investimenti infrastrutturali, manutenzione, canoni di suolo, connettività, bilanciamento di rete e perdite, oltre a commissioni di roaming quando si usa una rete diversa da quella del proprio fornitore. Le colonnine rapide, in particolare, richiedono connessioni di potenza elevata e hardware costoso: capitale immobilizzato che deve rientrare in tempi ragionevoli. A questo si aggiunge la volatilità del prezzo all’ingrosso dell’energia e la necessità per gli operatori di coprirsi dal rischio, spesso con margini che riflettono l’incertezza. Ma tutto ciò non spiega le differenze più marcate tra operatori né le oscillazioni che gli utenti riscontrano tra stazioni anche a breve distanza.
Qui entrano in gioco la trasparenza tariffaria e la concorrenza. La possibilità di applicare piani variabili per minuto, per kWh, a sessione o in abbonamento rende il confronto poco immediato, soprattutto per chi si affaccia alla mobilità elettrica. La stessa presenza di tariffe “roaming” penalizzanti disincentiva l’interoperabilità. Il risultato è un mercato dove gli utenti più esperti si arrangiano con app e comparatori, ma la maggioranza paga il prezzo pieno. L’esempio di Tesla, con Hpc a circa 0,30 €/kWh in alcune località e con una rete che ottimizza utilizzo e costi, dimostra che margini di efficienza esistono: economie di scala, gestione integrata e accordi sull’energia possono comprimere il costo finale. Non tutti gli operatori possono replicare quel modello, ma la distanza mostra che la competitività è possibile.
Gli Stati Generali della Ricarica, a Bologna, hanno messo il tema al centro di una platea fatta di produttori, gestori, utility, amministrazioni. Mentre nei padiglioni scorrevano soluzioni per la gestione smart dei parcheggi, semafori alimentati dal sole e colonnine di nuova generazione, nel confronto è emersa una priorità: se la tariffa pubblica non si avvicina a quella domestica, la mobilità elettrica rischia di restare una scelta di nicchia. Il settore tecnologico corre – tra megacharger, autobus elettrici e sistemi di ricarica ad alta potenza – ma senza modelli tariffari più accessibili l’adozione resterà sotto le attese.
Le leve per intervenire
Le leve per intervenire sono diverse. La prima è l’efficienza operativa: riduzione dei costi di connessione e di potenza impegnata attraverso sistemi di gestione intelligente dei carichi e storage locale, maggiore utilizzo medio delle stazioni per diluire il capitale investito, manutenzione predittiva per ridurre i fermi. La seconda è commerciale: piani chiari per kWh, abbonamenti city-based o corridor-based, sconti per fasce orarie a minor domanda, accordi con flotte e condomìni per volumi garantiti. La terza è regolatoria: semplificazioni per autorizzazioni e allacci, canoni proporzionati all’effettivo utilizzo, promozione dell’interoperabilità con costi di roaming contenuti, eventuali incentivi mirati all’Hpc in aree strategiche dove l’equilibrio economico è più lontano.
C’è poi un punto che tocca direttamente la fiducia del pubblico: la prevedibilità. Un utente che parte per un viaggio deve poter stimare il costo della ricarica con una forchetta ragionevole. Prezzi esposti in modo uniforme sulle stazioni e nelle app, calcolatori trasparenti prima di avviare la sessione, comunicazione chiara di eventuali maggiorazioni per sosta prolungata o congestione aiutano a evitare sorprese e a ridurre la percezione di “costo opaco”. È un aspetto spesso sottovalutato, ma decisivo per la user experience.
Il mercato si muove
Nel frattempo, il mercato si muove. Alcuni operatori stanno sperimentando fasce orarie scontate nelle ore di minore carico della rete, altri legano gli abbonamenti all’uso prevalente urbano o autostradale, altri ancora aprono le proprie reti a terzi con condizioni più vicine al wholesale. Sono segnali da consolidare, perché la domanda ha bisogno di certezze tanto quanto l’offerta ha bisogno di numeri per reggere gli investimenti.
La domanda iniziale resta sul tavolo: perché ricaricare costa troppo? Perché, in un settore in rapido sviluppo, i costi di infrastruttura e di energia non sono ancora pienamente assorbiti dall’efficienza operativa e dalla scala. Ma il fatto che oggi sia così non significa che debba rimanerlo. Se le tariffe pubbliche convergeranno verso gli obiettivi indicati da Adiconsum – 0,30-0,35 €/kWh in Ac, 0,40-0,45 in Dc, 0,50-0,55 in Hpc – la mobilità elettrica potrà uscire dalla bolla degli early adopter e diventare una scelta normale.
La tecnologia c’è, l’offerta industriale anche. Ora serve che la ricarica diventi un servizio competitivo, trasparente e accessibile. È una condizione abilitante della transizione: se la spina su strada pesa troppo sul portafoglio, non basterà la buona volontà di chi vuole cambiare. E la transizione, inevitabilmente, rallenterà. Al contrario, un mercato della ricarica più efficiente e aperto può accelerare la curva di adozione e mettere il Paese nelle condizioni di cogliere i benefici ambientali ed economici della mobilità a zero emissioni.
