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Cultura

Rimini «Divertimentificio e Riminizzazione», musa ispiratrice di Fellini

10.08.2023

Statua del famoso attore italiano Alberto Sordi all'interno del museo Fellini a Rimini

Non vi girò alcuna pellicola, ma la città rappresentò per lui una sorta di “musa ispiratrice”, ricchezza materiale e immateriale, che, attraverso le visioni oniriche ospitate nel Fellini Museum, traduce in pratica il concetto di cooperazione per costruire filiere mirate a innovazione e crescita.

Ci sono dei posti speciali che vivono in simbiosi. Rimini, assecondando la magia di chi scambia le luci del giorno con quelle notturne delle feste, è salita sul luna park dell’immaginario, trasformando il nome proprio di Fellini nell’aggettivo Felliniano, e quello della città in «Divertimentificio e Riminizzazione». Il curioso paradosso illustra meglio di una foto la realtà della Riviera romagnola, archetipo dell’ospitalità.

Qui tutto ha il colore, sapore ed il vociare festante dell’accoglienza. Tra hotel, pensioncine, distese di ombrelloni a punteggiare chilometri di spiagge, camping attrezzatissimi e quel serpentone di villeggianti vogliosi di vivere una vacanza sopra le righe per riaccendere le luci sulla cultura ed economia della notte. Formidabili quegli anni (’80 e ’90) in cui in città e sulla collina che sovrasta Riccione, club e discoteche ospitavano trasgressioni e cubiste: dal Cocoricò e la sua piramide di vetro simil-Louvre, al lampadario del Gattopardo di Visconti (acquistato a Cinecittà per il Pascià), fino alla Baia Imperiale (già degli Angeli, con il colonnato e le statue di Nettuno) che ospitava, lassù a Gabicce Mare, le serate trasgressive di Grace Jones, per diventare set di fiction e film (Abbronzatissimi, Rimini, Rimini).

Oggi, si balla dovunque nei rave party, in spiaggia, negli “street bar”, con i dj che ripropongono (anche) gli stessi brani dei fratelli maggiori e quelli orgogliosi, da balera a tutto “liscio”, dei Casadei. Erede di modelli culturali anni ’60, il “modello Rimini” è diventato perno dell’ospitalità sorridente, nella sua identità di capitale della vacanza (post) moderna, capace di sviluppare una tendenza e rimanere al contempo popolare. «La ricchezza dei comuni turistici – ranking secondo la creazione di valore aggiunto» (2022), su dati Istat delle presenze turistiche, ha indicato in 3.390 i comuni che producono valore aggiunto e ricchezza generata grazie al turismo. Rimini è la prima destinazione balneare d’Italia, con circa 1,44 miliardi di euro (1,64% del valore complessivo).

Ma per coglierne il “cuore” occorrerà inoltrarsi negli spazi trini di Castel Sismondo, Piazza Malatesta e Palazzo Fulgor, attraversare le 16 sale del Fellini Museum, tra riproduzioni, sospese a metà soffitto delle sceneggiature dei film, fasciate dalle voci degli interpreti, sfiorare il carro di Zampanò-Anthony Quinn e Giulietta Masina, «indossare” gli abiti di scena di Camillo Donati (quelli della «sfilata ecclesiastica» in Roma, 1972, o di Casanova-Sunderland, Oscar ai costumi, 1976), tra le musiche trascinanti di Nino Rota, un profluvio di immagini, l’istantanea della Ekberg («Marcello, Marcello!»)nella Fontana di Trevi, per affacciarsi, poi, in piazza, tra la Rocca e il Teatro dove si stende la lama d’acqua che richiama il mare e l’arrivo del Rex in Amarcord, e arrivare al Cinema Fulgor (in Corso d’Augusto 162; è qui che Titta tenta goffamente di sedurre la Gradisca). In una sorta di cortocircuito fra schermo e realtà, pur sapendo che Rimini “pastrocchio, respiro, moto aperto del mare” (FF), implicita nelle immagini, non è rappresentata, ma reinventata o trasognata nel teatro di posa di Cinecittà “laboratorio magico, alchemico”.

Eppure, siamo lì alla Palata, il molo, emblema de “I Vitelloni”, spacconi più che mai, davanti al mitico Grand Hotel. Federico li sta aspettando. E noi con lui. Il sogno continua.

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