Sotto il soffitto futuristico del Museu do Amanhã di Rio de Janeiro, il 5 novembre si è accesa una serata dedicata a cinque importanti progetti ambientali. Il principe William ha annunciato i vincitori dell’Earthshot Prize 2025, il premio da lui ideato e che ogni anno assegna un milione di sterline a chi non parla soltanto di salvare il pianeta, ma ci prova davvero.
A metà strada del decennio che il principe definisce “il tempo della trasformazione”, l’Earthshot si è fermato in Brasile, simbolo di biodiversità e contraddizioni, per celebrare chi lavora dentro la complessità senza cedere al cinismo.
Riforestare come si costruisce un’impresa
In Brasile, la start-up re.green ha conquistato la categoria Protect and Restore Nature con un’idea semplice e scalabile: rendere la riforestazione redditizia.
Utilizzando droni, intelligenza artificiale e dati satellitari, l’azienda individua le aree più adatte alla rinascita delle foreste amazzoniche e atlantiche, reinserendo specie autoctone e creando reddito attraverso crediti di carbonio e legname sostenibile.
In tre anni ha già piantato oltre 6 milioni di alberi e punta a 65 milioni entro il 2032. In un Paese dove la foresta viene spesso trattata come una miniera a cielo aperto, re.green la trasforma in un’infrastruttura economica.
Bogotà, la città che torna a respirare
Il premio Clean Our Air è andato alla città di Bogotà, che in sei anni ha ridotto l’inquinamento atmosferico del 24%. Il cambiamento non è arrivato da un’innovazione tecnologica, ma da una politica urbana coerente: piste ciclabili, autobus elettrici, zone a basse emissioni, alberi e orti urbani nei quartieri più poveri.
In una capitale da otto milioni di abitanti, la transizione è diventata visibile — meno traffico, più salute pubblica, più spazio per camminare.Un esempio replicabile per tutte le città che affrontano lo smog come se fosse un destino (non una scelta).
Il trattato che dà regole al mare
Sul fronte degli oceani, il riconoscimento Revive Our Oceans è andato al Trattato sull’alto mare, il primo accordo globale che tutela la biodiversità nelle acque internazionali. Dopo decenni di negoziati, entrerà in vigore nel gennaio 2026: un passo in avanti per proteggere i due terzi dei mari che non appartengono a nessuno, ma da cui dipende la vita di tutti.
Dietro al trattato c’è la High Seas Alliance, una rete di 70 organizzazioni civili che ha spinto 145 Paesi a firmare e 70 a ratificare l’accordo.
Lagos e la moda che smette di sprecare
Dalla Colombia all’oceano, poi alla Nigeria: la Lagos Fashion Week ha vinto la sezione Build a Waste-Free World per aver reinventato il sistema moda africano, imponendo regole di sostenibilità a ogni stilista che voglia sfilare.
Non è greenwashing, ma un cambio di paradigma: materiali locali, tinture naturali, recupero degli scarti e formazione per artigiani e giovani designer.Il risultato è un’industria più circolare e culturalmente radicata, che parla di futuro.
Bangladesh: vivere con il cambiamento, non contro
Infine, per Fix Our Climate, il premio è stato vinto da Friendship, organizzazione nata su un ospedale galleggiante in Bangladesh. Oggi fornisce assistenza sanitaria, acqua potabile e istruzione a milioni di persone, ripristinando al contempo foreste di mangrovie che proteggono i villaggi dalle inondazioni.
Dove il cambiamento climatico è già presente — e non una previsione — Friendship dimostra che adattarsi può voler dire anche creare dignità.
L’ambientalismo come mestiere quotidiano
In platea, William ha parlato di “ottimismo operativo”: non un sentimento, ma una pratica. E scoprendo i profili dei vincitori, l’espressione funziona.Nessuno di loro promette miracoli, tutti offrono metodi. re.green fa della foresta un asset economico, Bogotà dimostra che le città possono respirare, la Lagos Fashion Week riscrive la moda come infrastruttura sociale, Friendship costruisce resilienza dove la geografia punisce, e il Trattato sull’alto mare attribuisce un confine giuridico a ciò che non ne aveva.
