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Cronaca, Politica

Risorge un movimento che ha fatto la storia

29.03.2024

Il raduno a Maiori dei protagonisti del congresso del Movimento giovanile DC tenutosi nel 1984.

Panoramica sull’impegno politico e l’esperienza del movimento giovanile, che 40 anni fa divenne laboratorio della classe dirigente ancora presente nella vita del Paese. Intervista al presidente dell’Osservatorio Eurispes.

Nel weekend della Domenica delle Palme gli ex appartenenti al Movimento giovanile della Democrazia Cristiana si sono ritrovati a Maiori, in costiera amalfitana, a 40 anni dal congresso che cambiò il corso della storia politica di centinaia di ragazzi. Prima impegnati in incarichi parlamentari e nelle amministrazioni locali, poi diventati professionisti e dirigenti nel settore pubblico e privato. Si sono ritrovati circa un quarto degli 800 delegati che nel 1984 rappresentavano 300mila giovani democristiani. Non un amarcord, ma un modo per affermare che i valori e la cultura di quella generazione restano, dopo la fine dell’esperienza DC datata 1992. Tra essi c’era Luca Danese, già presidente del Movimento giovanile DC, nipote dell’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e deputato dal ’96 al 2001 anche con incarico di sottosegretario al ministero dei trasporti, attuale presidente dell’Osservatorio Eurispes su infrastrutture, logistica e trasporti.

Dott. Danese, si dice che il congresso fortemente voluto nel 1984 dai giovani democristiani trasformò il Movimento in vero e proprio laboratorio per creare una leadership generazionale. Fu proprio così?
«Sì, fu così e da lì venne fuori quella che oggi chiamo una classe dirigente che ha attraversato questi decenni. Tuttavia, era una situazione profondamente diversa rispetto a quella attuale. Lo spartiacque è stato il cambiamento della legge elettorale. Eravamo abituati a fare politica andando sul territorio, conoscere uno ad uno gli elettori che ti avevano votato, con un sistema proporzionale, con le preferenze. Questo significava essere eletti, e non nominati, come invece è successo poi in seguito».

Un tempo c’erano comizi, incontri pubblici e il porta a porta. Oggi i social veicolano il pensiero e arrivano a influenzare. Nel contempo, però, cala la partecipazione elettorale. Cosa può disinnescare questo corto circuito?
«I social lo fanno sulla base di slogan e di frasi d’effetto. Viene meno la profondità di analisi che è la base dell’attività politica. A mio avviso, il tema grave è la disaffezione dall’impegno politico dei giovani. Di fatto, la politica non è più l’espressione del meglio che emerge dalle nuove generazioni, a differenza del passato».

Quella dei giovani democristiani sembra un’esperienza unica nel suo genere, perché in questi 40 anni i rapporti e le amicizie sono rimasti ben saldi. Cosa ha determinato questo legame, nonostante i protagonisti di quella stagione abbiano percorso strade diverse?
«È rimasta una solidarietà enorme e grande sintonia tra tutti noi, determinate dal comune sentire il modo di fare politica allora».

 Negli anni ’80 la cultura politica del cattolicesimo democratico lasciava la sua impronta nella scuola e nella società. Se oggi avesse 20 anni e fosse ai tempi di Maiori, considerando quella che è stata la politica estera italiana durante il periodo di Andreotti, come giudicherebbe oggi la situazione nella striscia di Gaza innescata dall’attacco a Israele?
«C’era una profonda consapevolezza che la politica estera fosse basata sul dialogo con tutti. Il primato spettava alla diplomazia. A mio avviso, Andreotti nella politica estera, soprattutto sul Medio Oriente, è stata maestro. Oggi, i toni e i modi con cui viene trattata questa vicenda da parte dei giornali, molti dei quali sono assolutamente incoerenti rispetto magari a quello che hanno scritto in precedenza, sono sorprendenti. Secondo me, non si tiene conto di tutti i precedenti che hanno portato a una situazione così drammatica come quella che stiamo vivendo. Non si possono accomunare in modo semplicistico Hamas e i palestinesi. Quello che però è successo il 7 ottobre non può passare come atto terroristico isolato, ma è un atto di guerra ponderato e preparato. È altrettanto chiaro che l’azione dell’ONU deve tendere a fermare una deriva che non si sa dove possa condurre».

C’è ancora bisogno di un partito di mera ispirazione cattolica o piuttosto che i cattolici esercitino il proprio ruolo nella politica?
«Sono più per questa seconda ipotesi. Chi è portatore di valori etici e morali ispirati al cattolicesimo dovrebbe impegnarsi seriamente in politica. È un messaggio che va rivolto soprattutto ai giovani».

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