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Ambiente, Cronaca, Economia

Riuscirà la pioggia a colmare il vuoto?

26.06.2024

Le condizioni del fiume Po nel 2022, Torino.

La Sicilia avverte fino al 75% di perdite nel comparto agricolo. Il Po subisce nel 2022 un livello di condizionamento considerato il più grave degli ultimi due secoli. Quanto la pioggia potrà risolvere l’emergenza idrica sofferta al Sud e i prolungati periodi di severità idrica che l’Italia soffre da anni?

In una nota diffusa lo scorso 18 giugno, la Regione Sicilia avvertiva che “per il comparto agricolo e zootecnico quest’anno si stima una perdita pari in media al 50% della produzione nello scenario di ‘improbabili precipitazioni estive’ e del 75% se queste non dovessero verificarsi”. A provocare questa situazione è la grave siccità che la Regione soffre da mesi. A gennaio è stato avviato un piano di razionamento delle risorse idriche in oltre cento Comuni e a marzo è stato ulteriormente esteso: la riduzione della fornitura di acqua potabile si è aggirata tra il 15% e il 30% e ha coinvolto le province di Palermo, Agrigento, Trapani, Enna, Caltanissetta, per un totale di quasi un milione di persone.

Nel mese di maggio il Consiglio dei ministri ha deliberato lo “stato di emergenza” per la Sicilia, che attualmente è quella più a rischio a livello nazionale. Tuttavia, quanto sta accadendo sul territorio siciliano non è un evento isolato. Negli ultimi due anni, anche il Nord Italia ha vissuto una fase di siccità molto critica, salvo poi registrare quest’anno una primavera quantomai piovosa. Appena due anni fa, a causa della mancanza di precipitazioni, le acque del fiume Po hanno raggiunto livelli minimi: uno studio condotto dall’Università di Bologna ha messo a confronto i dati storici dei flussi fluviali a partire dal 1807, dimostrando che la condizione del Po del 2022 è stata la più grave negli ultimi due secoli.
Nelle scorse settimane Legambiente è intervenuta a sottolineare come, dal 2020 a oggi, in momento diversi, tutte le regioni italiane sono state colpite dall’emergenza idrica. Ciò che preoccupa è che i periodi di siccità registrati negli ultimi anni sono sempre più frequenti e intensi, perché si verificano per periodi di tempo sempre più lunghi, confermando una tendenza che era già stata prevista dai modelli matematici.
L’emergenza idrica che persiste in Italia è riconducibile a più cause. Le prime sono quelle di carattere climatico e meteorologico: da un lato, l’aumento delle temperature medie, dall’altro una riduzione delle precipitazioni e delle nevicate. Secondo gli ultimi dati Istat “nel 2022 la temperatura media (circa 16,6°C) sale di +1°C e la precipitazione (in media circa 598 mm) cala di -264 mm rispetto ai corrispondenti valori medi del decennio 2006-2015”. Nella situazione attuale, la carenza di piogge riguarda prevalentemente il meridione, invece fino allo scorso anno il fenomeno interessava soprattutto l’area centro-nord (che adesso sta vivendo uno scenario totalmente opposto, con piogge abbondanti e danni provocati dal maltempo). Oltre a questo aspetto, bisogna considerare anche l’insufficienza di infrastrutture necessarie per la distribuzione delle risorse idriche e, di conseguenza, una loro cattiva gestione.

La Sicilia, come già detto, non è l’unica regione che attualmente si trova in uno stato di alta severità idrica. Anche le altre regioni del sud e qualche area del centro stanno vivendo lo stesso problema, con dirette ripercussioni su ambiente ed economica. I settori che più ne risentono sono chiaramente quello agricolo e quello industriale, in particolare l’idro e termoelettrico. Secondo le analisi di Coldiretti, si stima che in Sicilia «grano, cereali e foraggi fanno registrare un calo con punte del 100% mentre gli allevatori devono fare i conti con i ritardi della politica nel dare il via libera ai voucher fieno». I danni riguardano anche le produzioni pugliesi: nelle province di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto sono in pericolo agrumeti, frutteti, ortive, angurie e oliveti. In Basilicata, gli agricoltori non vogliono rischiare costi aggiuntivi e decidono di rinunciare alla trebbiatura, mentre «i danni alle coltivazioni di cereali, a partire dal grano, arrivano fino al 90%, così come per le foraggere e le leguminose».

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