16 Settembre 2025
/ 16.09.2025

Robert Redford, la leggenda che amava la natura

L'attore e regista è morto all'età di 89 anni. Ha messo la propria notorietà al servizio di battaglie che oggi appaiono più attuali che mai: la libertà d’informazione e la difesa dell’ambiente

Robert Redford è morto a 89 anni, nella sua casa nello Utah, tra le montagne in mezzo a cui si sentiva felice. Se n’è andata una leggenda del cinema, ma anche un protagonista del cinema che con il suo impegno civile ha attraversato mezzo secolo di storia americana. Non era solo il volto perfetto dei grandi film di Hollywood, ma un artista capace di mettere la propria notorietà al servizio di battaglie che oggi appaiono più attuali che mai: la libertà d’informazione e la difesa dell’ambiente.

Tutti gli uomini del presidente

Robert Redford lo ricordiamo per Tutti gli uomini del presidente in cui interpretava Bob Woodward, uno dei due giovani cronisti che scoperchiarono lo scandalo Watergate. Quel film, di cui Redford fu anche produttore, è rimasto nella memoria non solo come grande cinema ma come manifesto della democrazia: ricordava che la verità deve emergere, anche quando è scomoda, e che senza un giornalismo libero il potere diventa sopruso. Redford era convinto che la macchina del cinema servisse a questo, a resistere alle manipolazioni e alla falsa informazione che già allora iniziavano a inquinare il dibattito pubblico. Era il 1976 e oggi quel film suona come un’anticipazione dell’assalto alla libertà della stampa che stanno subendo gli Stati Uniti mezzo secolo dopo, con le minacce alle reti televisive che non si allineano alla Casa Bianca, con il taglio dei fondi, con l’esclusione dalle conferenze stampa dei cronisti scomodi.

Accanto alla difesa della verità, c’era la difesa della natura. Fin dagli anni Settanta Redford aveva scelto di spendere la propria influenza a favore della causa ambientale. Si è battuto contro le trivellazioni selvagge, ha sostenuto le maggiori organizzazioni ambientaliste, ha aperto il Robert Redford Center insieme al figlio James per raccontare attraverso documentari le ferite e le speranze del pianeta. A Santa Monica ha voluto che il Natural Resources Defense Council avesse un edificio super green in anticipo sui tempi. E ha portato sullo schermo la passione ecologista: in Sacred Planet la sua voce narrante era un invito a guardare la Terra come un bene sacro, in Grand Canyon Adventure: River at Risk denunciava la crisi dell’acqua in Occidente, anticipando il tema che oggi segna l’agenda globale.

Poi c’è il Sundance Film Festival, forse il dono più duraturo che Robert Redford ha lasciato al cinema. Lo fondò nel 1981, battezzandolo con il nome del suo personaggio più amato, per dare spazio a chi non trovava voce a Hollywood. Per lui non era solo un festival, ma un atto di fede: credeva che le storie indipendenti, nate lontano dai riflettori dell’industria, potessero cambiare la cultura quanto e più delle grandi produzioni. In pochi anni Sundance è diventato la culla del cinema indipendente mondiale, un laboratorio dove nuovi autori hanno potuto crescere e affermarsi.

La stangata

Redford resta scolpito nella memoria anche come attore di straordinario talento. La coppia con Paul Newman in Butch Cassidy and the Sundance Kid, la leggerezza e l’astuzia de La stangata, la profondità di Ordinary People, con cui vinse l’Oscar da regista. Dietro il volto da star c’era la coerenza di un uomo che non ha mai voluto limitarsi all’applauso, che ha scelto di usare il cinema come cassa di risonanza per i valori in cui credeva.

Un artista che ha saputo difendere la verità quando la menzogna cercava di imporsi e che ha alzato la voce in difesa della natura quando l’indifferenza sembrava normale. Robert Redford abbandona il grande schermo, ma lascia la sua eredità a chi crede che un’informazione libera e un pianeta vivo siano le basi su cui costruire il nostro futuro collettivo.

CONDIVIDI
defrino-maasy-1T-HvAq9enE-unsplash

Continua a leggere