8 Ottobre 2025
/ 7.10.2025

Sappiamo riciclare l’acqua ma non lo facciamo, così la siccità ci costa 7 miliardi l’anno

Dai laghi tornati a vivere alle città spugna, gli esempi virtuosi ci sono e dimostrano che cambiare è possibile

L’Italia ha imparato a riciclare l’acqua, ma lo fa ancora troppo poco. Nel Paese degli acquedotti colabrodo e dei fiumi a intermittenza, esistono esperienze vincenti: il lago d’Orta, tornato a vivere dopo essere stato un bacino morto; il depuratore di Fasano-Forcatella, che riutilizza da anni l’acqua recuperata per irrigare cinquanta aziende agricole; il progetto Spugna della Città metropolitana di Milano, per moltiplicare le superfici che assorbono l’acqua piovana e la restituiscono lentamente. Sono prove che la resilienza idrica si può costruire. Ma restano isole felici in un Paese che continua a trattare l’acqua come una risorsa inesauribile.

Sprechi, ritardi e costi miliardari

Il conto della disattenzione è salato: la siccità costa ogni anno quasi 7 miliardi di euro, e senza un cambio di rotta le perdite potrebbero raggiungere i 17,5 miliardi entro il 2029, secondo uno studio dell’Università di Mannheim e della Banca centrale europea.

A mettere in fila dati e proposte è Legambiente, che oggi a Roma ha aperto la settima edizione del Forum Acqua, in collaborazione con Utilitalia. Il quadro tracciato è preoccupante: dal 2017 a oggi sono stati registrati 142 eventi di siccità prolungata, di cui il 75% solo negli ultimi quattro anni. In quasi un caso su cinque sono scattate restrizioni all’uso dell’acqua per scopi civili, agricoli o industriali.

E mentre la scarsità avanza, le infrastrutture restano fragili. Le perdite di rete superano il 40%, i depuratori non sempre rispettano gli standard europei e la qualità delle acque resta un punto dolente: entro il 2027 il 30% dei corpi idrici superficiali e il 27% di quelli sotterranei non raggiungerà lo stato chimico “buono” richiesto dalla Direttiva europea.

Danni da clima e ritardi da burocrazia

Gli eventi estremi, dall’altra parte, si moltiplicano. Tra il 2013 e il 2022 la Protezione civile ha dichiarato 179 stati di emergenza per alluvioni e frane, con danni per oltre 15 miliardi di euro, ai quali si aggiungono i disastri più recenti in Emilia-Romagna, Toscana e Marche.

Intanto il Paese continua a pagare per i ritardi: 210 milioni di euro già versati in multe per inadempienze sulla Direttiva Acque Reflue e altri 300 milioni da pagare entro il 2030, secondo la Corte dei conti. Anche la prevenzione non brilla: dal 1999 a oggi sono stati spesi 20 miliardi per 25.903 interventi contro il dissesto idrogeologico, ma solo il 36% è stato completato e al momento sono risultati meno efficaci di quanto atteso, visto che – secondo i dati Ispra – il rischio idrogeologico nel nostro Paese è aumentato nel corso degli ultimi decenni.

E i fondi del Pnrr, pur abbondanti, non bastano a compensare la lentezza. Dei circa 8 miliardi stanziati per ridurre le perdite, modernizzare depuratori e rendere efficiente il sistema idrico, solo il 2% dei progetti è stato portato a termine e poco più della metà è in fase di collaudo.

L’appello: basta emergenze, serve una strategia

“La crisi climatica, il problema dei depuratori inefficienti e delle reti colabrodo ci ricordano l’urgenza di risolvere le criticità e adottare una governance integrata della risorsa idrica”, ha dichiarato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani. “La resilienza idrica deve essere messa al centro dell’agenda politica italiana, con i principi fondamentali di riduzione dei consumi e miglioramento dell’efficienza”.

L’associazione ha indirizzato al Governo dieci proposte, chiedendo una Strategia nazionale della risorsa idrica in linea con quella europea approvata a giugno. Una visione d’insieme che superi la gestione a compartimenti stagni e integri le buone pratiche già esistenti con innovazione, monitoraggio e trasparenza.

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