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Cronaca, Lavoro, Sicurezza, Società

Satnam Singh e il lato oscuro dell’Italia

22.08.2024

Dove non arriva la cronaca esistono spesso realtà in cui il nostro Bel Paese si rifiuta di riconoscersi. Cosa sappiamo del business dello sfruttamento che coinvolge 230mila lavoratori, di cui oltre 50mila donne, da Nord a Sud? E cosa risolve la nuova legge sui controlli per prevenire i fenomeni di illegalità come caporalato e lavoro in nero?

È passato ormai più di un mese dalla morte Satnam Singh, il bracciante indiano lasciato morire dal suo datore di lavoro dopo un grave infortunio avvenuto nel campo in cui stava lavorando. Non solo non è stato soccorso, ma è stato caricato su un furgone e poi abbandonato, insieme al suo braccio, davanti casa: tracce di lui, sul posto di lavoro non dovevano essercene. E il motivo è spaventosamente semplice: Satnam non aveva un contratto, era un bracciante irregolare. Un tragico episodio, quello di Latina, che ha acceso i riflettori mediatici su una piaga atavica del nostro Paese, diffusa da Nord a Sud: il caporalato. Un fenomeno che nonostante finisca al centro delle cronache soltanto dopo eventi drammatici esiste sempre, e coinvolge diversi settori, anche se il più noto alle cronache – e non solo – è quello agricolo, in cui la stagionalità e i conseguenti brevi rapporti lavorativi ne favoriscono la diffusione.

Una forma di sfruttamento che si manifesta attraverso forma illegali di intermediazione, reclutamento e organizzazione della manodopera che riguarda, secondo gli ultimi dati, 230mila lavoratori nelle campagne italiane. Di questi, oltre 50mila sono donne, e il 30% è costituito da italiani o da cittadini dell’Unione europea. Migliaia di donne e di uomini che non hanno alcun tipo di tutela, da quella sanitaria a quella legale, che spesso manovrano macchinari che non dovrebbero manovrare; migliaia di uomini e di donne che lavorano dalle 10 alle 14 ore per 20 euro, quando va bene. Stando all’ultimo rapporto elaborato dall’Osservatorio Placido Rizzotto, infatti, c’è chi “guadagna” molto meno, 10 euro, o chi non guadagna affatto, ma viene “retribuito” con un panino e un bicchiere d’acqua. E tirando le somme, ne emerge un business che vale migliaia di euro, e che da quantificare con precisione è impossibile.

Ma il caporalato è un fenomeno noto alla nostra politica. Una politica che dopo l’introduzione del reato nel 2011 e l’inasprimento delle pene nel 2016 con la legge Martina (che non ha poi ricevuto finanziamenti dai governi successivi) ha dato sì un segnale, ma troppo debole. Una politica che, se da una parte ha aumentato con un decreto le sanzioni per contrastare il lavoro irregolare a marzo, ha anche deciso nei giorni scorsi che le ispezioni alle aziende andando notificate dieci giorni prima. E se non verranno riscontrate violazioni, quell’impresa non subirà controlli per i successivi dieci mesi. Un lasso di tempo lunghissimo, in cui possono consumarsi sfruttamento e tragedie. Tragedie che sporcheranno di sangue anche le mani dello Stato.

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