21 Gennaio 2025
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Schlein compatta Pd su Trump e Salvini, ma nodo è Jobs act

21.01.2025

Sullo sfondo anche la discussione sul centro

Roma, 21 gen. (askanews) – Donald Trump, Elon Musk, la tecno-destra, Matteo Salvini, l’autonomia differenziata: Elly Schlein fissa l’agenda comunicativa del Pd, punta i riflettori sul centrodestra e cerca di tenere da parte le questioni più spinose, dal ritrovato protagonismo dei “moderati” dem alla questione del referendum sul Jobs act. La leader democratica convoca anche la segreteria, la riunione dura parecchio e viene dedicata, appunto, soprattutto ai temi della “mobilitazione”, come li ha definiti lei stessa. Sui centristi neanche una parola con i cronisti, ma frasi molto diplomatiche anche durante la riunione della segreteria. Per quanto riguarda il Jobs act appena un accenno quando i giornalisti le pongono la domanda: “Io li ho firmati – ha spiegato quando le è stato chiesto quale sarà l’indicazione di voto – senz’altro non faremo mancare il nostro contributo”.

Se ne discuterà, l’ala moderata-riformista del Pd – quella che era stata più vicina a Matteo Renzi – non ha intenzione di rinnegare il lavoro fatto dieci anni fa. Alessandro Alfieri, sul Corriere della sera, lo ha già spiegato: “Un referendum sul Jobs act rischia di riaprire ferite del passato. Fin dall’inizio ho dichiarato che non l’avrei sostenuto. Abbiamo bisogno, oggi, di mettere in evidenza le tantissime battaglie che ci uniscono, non quelle che ci dividono”. Posizione che è un po’ quella di tutta la minoranza, da Marianna Madia a Graziano Delrio e Lorenzo Guerini. Certo, precisa uno di parlamentari ‘moderati’, “non ci metteremo a fare i comitati del no con Renzi, ma c’è una strumentalizzazione da parte di Landini che non ci fa bene. E certamente non faremo campagna per il sì, ne voteremo per l’abrogazione”. La minoranza spera che la segretaria arrivi a non dare indicazione di voto, pur ovviamente facendo campagna attiva per il sì. “Se schierasse il partito tutti noi non la seguiremmo”.

Antonio Misiani, responsabile economia in segreteria, la mette così: “Capisco che il referendum non è il migliore degli strumenti possibili, ma è importante che arrivi un segnale nella direzione di un rafforzamento delle tutele del lavoro”. Insomma, difficile non stare con la Cgil e chi vuole l’abrogazione del Jobs act. Ma, precisa, “avremo luoghi in cui discuterne, il Pd non è e non sarà mai una caserma”.

Sui movimenti di cattolici e riformisti – i due convegni dello scorso fine settimana – non sono mancate le critiche – da sinistra – in segreteria. Ma, appunto, non da parte di Schlein, che – raccontano – è stata assai prudente. La segretaria, del resto, sa che chi era ad Orvieto, a partire da Paolo Gentiloni, non mette in discussione la permanenza nel Pd. E lo stesso ex premier oggi ha precisato: “C’è una gran voglia di pluralismo interno. Sarebbe un errore trasformare questo in una fronda nei confronti di Elly Schlein, che ha riattivato il Pd in fondo, e quindi ha dei meriti”. Al tempo stesso, ripete, se i centristi fuori dal partito si uniscono bene, ma in ogni caso il Pd “deve avere un profilo di governo” e non cercare un “alibi per dire che mandiamo all’esterno le componenti riformiste”.

Da questo punto di vista, raccontano, la stessa Schlein sarebbe almeno in parte d’accordo: la leader Pd non intende rinunciare al profilo ‘netto’ che ha dato al partito, ma non vede bene nemmeno la nascita di una ‘nuova Margherita’ che porti alla fuoriuscita dei moderati Pd. La spaccatura ridimensionerebbe il partito e aprirebbe la discussione sul nome del ‘federatore’, o meglio del candidato – o della candidata! – premier. Dunque bene se Renzi, Calenda, Sala, Ruffini, Più Europa trovano un modo per presentare un’unica lista. Ma l’esodo dei moderati dem sarebbe un’altra cosa, non auspicabile. Per questa discussione però c’è tempo, se parlerà molto da qui alle politiche.

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