5 Settembre 2025
/ 4.09.2025

Scienza dal basso, i volontari salvano la memoria climatica dalla censura di Trump

Negli Usa nasce un archivio parallelo contro il buio digitale. Mentre la Casa Bianca ordina la cancellazione dei dati, i dipendenti federali licenziati li salvano


Mentre l’amministrazione Trump procede a colpi di cancellazioni – oltre 8.000 pagine e migliaia di dataset spariti dai siti federali – una rete di scienziati, archivisti e semplici cittadini si è messa in moto per impedire che decenni di ricerca sul clima svaniscano. Non è un romanzo distopico, ma la realtà americana del 2025: chi lavorava su Climate.gov, GlobalChange.gov e altre piattaforme federali ha deciso di non farsi zittire e ha iniziato a ricostruire in autonomia un patrimonio che appartiene a tutti.

Dai licenziamenti a Climate.us

Quando a fine maggio l’intero team editoriale di Climate.gov è stato licenziato, gli scienziati hanno perso il lavoro ma non la missione. Rebecca Lindsey e altri ex dipendenti hanno lanciato Climate.us, un sito indipendente che ripubblica contenuti didattici, aggiorna i dati climatici e offre strumenti utili a scuole, amministrazioni locali e comunità che vogliono capire come prepararsi a inondazioni, incendi o ondate di calore. È un segnale forte: la scienza pubblica cerca nuove case per non finire nel dimenticatoio.

In parallelo, la comunità Data Rescue ha attivato una gigantesca operazione di salvataggio digitale. Grazie a Internet Archive e ad altre piattaforme, dataset rimossi dall’EPA, dal Dipartimento dell’Energia e perfino dalla Casa Bianca sono stati copiati e messi al sicuro. In alcuni casi i volontari hanno lavorato in notti intere per scaricare database prima che venissero oscurati. Non è solo difesa della memoria: è una battaglia per garantire trasparenza e libertà di ricerca.

Il paradosso dei dati proibiti

Trump ha ordinato di depennare espressioni come “climate change” dai portali federali e ha chiuso GlobalChange.gov, che per legge dovrebbe ospitare i National Climate Assessments, le valutazioni periodiche sugli impatti del riscaldamento globale negli Stati Uniti. Ma paradossalmente questa censura ha reso più visibile il lavoro di chi, fuori dai canali ufficiali, ricostruisce e diffonde quelle stesse informazioni.

Il Washington Post e il Guardian hanno documentato come la cancellazione di strumenti fondamentali, dai satelliti per monitorare la CO₂ ai database sull’inquinamento, abbia spinto comunità di ricercatori a reinventarsi. Alcuni lavorano ora in università, altri in organizzazioni non profit. Tutti condividono lo stesso obiettivo: garantire che le prossime generazioni possano accedere a dati affidabili sul clima, indipendentemente dalle scelte politiche del momento.

Un futuro che non si lascia oscurare

La storia recente degli Stati Uniti mostra quanto fragile possa essere la memoria scientifica quando diventa scomoda. Ma la risposta dal basso, dai laboratori accademici fino alle comunità online, indica un’altra strada: quella di un sapere che non si cancella con un decreto, perché trova sempre nuove forme e nuovi spazi per circolare. In fondo, la vera resilienza non è solo quella climatica: è quella di chi difende i dati, e con essi la possibilità stessa di capire e agire.

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