Negli Stati Unti di Trump le tv che non chinano il capo vengono direttamente minacciate ventilando la perdita delle licenze di trasmissione. Nell’Israele di Netanyahu i giornalisti che vogliono raccontare i fatti vengono direttamente eliminati dall’esercito. Ormai il limite è superato.
Sia gli Usa che Israele, secondo il Democracy Index 2024, già non rientravano nell’elenco delle democrazie piene: erano considerati democrazie imperfette. Forse quello che sta succedendo potrebbe spostare il giudizio verso la terza categoria: i regimi ibridi. E in ogni caso, se l’Europa intende agire in Ucraina in nome del diritto internazionale, può comportarsi all’opposto a Gaza e in Cisgiordania ignorando la sistematica violazione delle regole di base di un sistema democratico?
Il raid israeliano sull’ospedale Nasser del 25 agosto ha fatto 20 vittime, tra cui 5 giornalisti. Giornalisti dell’agenzia di stampa Reuters, dell’emittente statunitense NBC, di Al Jazira. Erano lì per fare il loro lavoro, il corrispondente di guerra. E si sa che è un mestiere pericoloso perché le pallottole vaganti sono una minaccia concreta.
Nei territori occupati dall’esercito di Israele però i numeri raccontano un’altra storia, qualcosa che va oltre il caso o l’errore di un’unità di combattimento. Dal 7 ottobre 2023 a oggi sono stati uccisi dall’Idf almeno 192 giornalisti. Non si può parlare di fatalità. È una strage che non ha paragoni. E che rivela la volontà di imporre con le armi il silenzio sul sistematico massacro in atto in Palestina, sullo sterminio per fame e per malattia, sulla distruzione delle infrastrutture civili e ambientali. In altre parole su un genocidio in corso, come ha detto David Grossmam in un’intervista a Repubblica parlando di Gaza. Ma raccontarlo dal campo significa rischiare una pallottola in fronte.
L’esercito israeliano spara sulla Croce Rossa e sui giornalisti, i bambini che si accalcano per ricevere una ciotola di cibo vengono uccisi, le infrastrutture che difendono la popolazione dal dilagare delle epidemie sono distrutte, l’Onu ha dichiarato ufficialmente lo stato di carestia a Gaza. L’Europa non può continuare a parlare di diritto internazionale se gira la testa dall’altra parte di fronte all’orrore di Gaza. O meglio, può continuare a farlo perdendo ogni giorno consensi internazionali, peso politico, prestigio.
Molti continuano a ripetere che le autocrazie sono isolate. In realtà nel mondo stanno guadagnando spazio: secondo il Democracy Report 2025 negli ultimi 20 anni la democrazia si è deteriorata in 27 Paesi. L’Europa potrebbe essere il modello in grado di arrestare questo processo: è l’unico polo in grado di ridare speranza e coesione attraverso la transizione ecologica solidale. Ma questa scommessa ha bisogno di una credibilità su scala globale, non compatibile con l’assenza di una reazione rapida ed efficace di fronte al genocidio a Gaza e all’attacco diretto all’informazione che è una delle basi del sistema democratico.