17 Dicembre 2024
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Cronaca, Economia, Società

Sindrome italiana del ceto medio

17.12.2024

Sono sempre maggiori le spaccature interne alla società. È un’Italia che non affonda, ma non riesce nemmeno a risalire quella dipinta dal Censis. Aumentano gli occupati, ma il Pil e la ricchezza pro-capite sono in calo. A crescere non è solo la sfiducia nelle istituzioni. Il report.

Sono toni drammaticamente freddi quelli della fotografia scattata al nostro Paese dal Censis. Toni che raccontano di un’Italia in cui spopola la subcultura, dove i sistemi di welfare sono insufficienti e lo Stato non è più in grado di garantire il diritto alla salute dei propri cittadini, costretti sempre più spesso a rivolgersi a strutture private per curarsi. Ed è un’Italia che vive in un paradosso economico, con l’occupazione che cresce e i Governi che fanno a gara per accaparrarsene il merito, ma con il reddito reale e la ricchezza netta pro-capite che stanno precipitando.

I passi in avanti sul fronte occupazione (+23,8 milioni nel 2023), infatti, non sono sufficienti, e l’Italia resta il fanalino di coda in Europa per numero di occupati, con un divario di ben 8,9 punti percentuali rispetto alla media Ue. Inoltre, l’economia fatica a decollare, con il Pil che stagna e la produzione industriale che nei primi 8 mesi del 2024 ha registrato un calo del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2023. Insomma, quella descritto nel 58° rapporto sulla situazione sociale del Paese è la disfatta del ceto medio, una zona grigia in crisi ormai da tempo, sempre più schiacciata tra la luce della ricchezza e l’oscurità della povertà, ma che sembra non crollare mai definitivamente. E i cittadini ne sono consapevoli: oltre l’85% degli italiani ritiene impossibile migliorare la propria posizione sociale.

In questo scenario, i più scoraggiati sembrano i giovani: quasi il 90% dei 18-34enni è convinto che non avrà mai una pensione adeguata, vista la precarietà dei contratti e l’apparente impossibilità di avere una situazione lavorativa stabile nel giro di pochi anni. E chi può, scappa: tra il 2013 e il 2022 sono stati più di 350mila i giovani che hanno lasciato il Paese, molti per non tornare. Una crisi, questa, che non è solo economica, ma anche comunitaria, e sta generando fratture non solo tra cittadinanza e classe politica, ma anche all’interno della società stessa. Da una parte, infatti, ci sono l’astensionismo – che ha raggiunto picchi storici nel corso delle ultime elezioni – e una totale sfiducia nei confronti delle istituzioni, non solo nazionali ma anche sovranazionali: secondo il 71,4% degli italiani, senza riforme radicale l’Unione europea è destinata a disgregarsi.

Dall’altra, una spaccatura sociale interna, con la percezione del diverso che sta polarizzando sempre più il dibattito pubblico: secondo il rapporto, il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’immigrazione, il 21,5% percepisce come “nemico” chi appartiene a un’altra etnia e il 29,3% è avverso a concezioni non tradizionali di famiglia.
Dunque, un Paese che sembra destinato a galleggiare per sempre nella sua mediocrità: «né capitomboli rovinosi nelle fasi recessive – scrive Censis – né scalate eroiche nei cicli positivi». Ma per questa “sindrome italiana”, che ha iniziato a erodere anche i valori sociali della democrazia, ci dovrà pur essere una cura. No?

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