02.01.2025
La crisi mediorientale apre la Siria all’influenza turca, ma il DNA jihadista di Hayat al-Shams (HTS), che ha fatto fuggire Assad, e il nodo curdo rendono il Paese estremamente vulnerabile. Sarà Donald Trump a prendere le decisioni che incideranno sul Levante?
Questo round del conflitto siriano ha un chiaro vincitore, la Turchia, e uno sconfitto, l’Iran. Tramite i suoi proxies dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA) e il supporto a una coalizione di milizie islamiste guidate da Hayat al-Shams (HTS), in poco più di una decina di giorni Ankara ha potuto portare il regime di al-Assad al collasso. Per l’Iran si tratta di un disastro. Perde infatti un’area chiave, dove aveva investito preziose risorse per più di dieci anni. Inoltre, l’arco della “resistenza sciita” che si stendeva da Beirut a Tehern è spezzato. Complice l’indebolimento di Hizbollah in Libano e Hamas a Gaza, l’influenza regionale iraniana appare dunque fortemente ridotta.
Anche la Russia ne esce male. Sicuramente ha perso credibilità agli occhi dei suoi alleati, non avendo salvato il suo protetto siriano. Inoltre, ora è costretta a funambolismi politici, volendo mantenere le sue basi siriane affacciate sul Mediterraneo, avendo però dato supporto decennale e asilo ad al-Assad. Gli USA, molto cauti e in fase di transizione politica, si sono limitati a confermare la loro presenza in Siria e l’impegno a contrastare il Da’esh.
In definitiva, Ankara ha ottenuto notevoli risultati, sia sul piano interno siriano che a livello internazionale. Sul piano internazionale la vittoria del fronte filoturco in Siria rende Ankara un interlocutore molto più rilevante sia per Mosca che per Washington. Sul piano interno, ora la Turchia ha la posizione predominante per influenzare il futuro politico ed economico della Siria.
Dunque ora la Turchia cercherà di stabilizzare il paese mantenendone indirettamente il controllo. A tal fine ci sono due passaggi critici, ovvero lo svolgimento di elezioni e la rimozione delle sanzioni. Quanto al primo passaggio, quel che serve ad Ankara è un voto riconosciuto dalla comunità internazionale e che, al tempo stesso, sancisca il ruolo primario di HTS e delle forze filoturche nel futuro politico-istituzionale siriano. Riacquistata la legittimità internazionale, il passo è breve verso il secondo passaggio, ovvero la rimozione delle sanzioni. Ciò aprirebbe il paese agli investimenti esteri, facilitando la ricostruzione, e al contempo garantendo legittimità interna e forza al governo filoturco. Per ora, il governo di transizione instaurato da HTS si è dato tre anni per rivedere la costituzione e quattro per arrivare al voto.
Questo progetto rimane però esposto a molti rischi, due in particolare. Innanzitutto c’è il DNA jihadista di HTS, secondariamente c’è il nodo curdo. La revoca delle sanzioni dipenderà dall’efficacia di HTS nel combattere il Da’esh, dalla sua volontà di cooperare con le SDF a guida curda, nonché dall’impegno per una governance inclusiva che rispetti i diritti delle minoranze siriane. L’albero di Natale bruciato da miliziani barbuti in una piazza a Hama non è un buon segno, ed è solo uno dei sintomi dell’identità estremista ed integralista di buona parte delle milizie che ora controllano Damasco. Rimane dunque da vedere quanto il “rebranding democratico” di HTS si effettivo.
Quanto al nodo curdo, le SDF curde controllano pressoché in autonomia circa un terzo della Siria e sono un alleato chiave americano, oltre che uno strumento essenziale nella lotta a ciò che rimane del Da’esh. Non possono dunque essere ignorate, ma è difficile trovare una formula politico-istituzionale che concili il loro ruolo e le aspirazioni turche. Infatti, Ankara considera i movimenti curdi siriani come terroristi, affiliati del Partito Curdo dei Lavoratori, e ha l’obiettivo strategico di impedire la creazione di qualsivoglia entità curda autonoma a ridosso dei suoi 911 chilometri di confine con la Siria. Non sorprende dunque che, nelle ultime settimane si stiano verificando scontri tra le SDF curde e le SNA filo-turche a Manbij e in altre aree limitrofe, mentre l’aeronautica turca ha bombardati i curdi a Kobane. Tensioni si verificano anche a Deir al-Zor. Stretti tra la Turchia e i suoi alleati siriani, e a fronte dell’incognita delle future decisioni dell’amministrazione Trump, i curdi potrebbero cercare supporto da Israele – complicando la partita regionale e la stabilizzazione siriana.
Infine, su tutto incombe “l’effetto Trump”. Sarà lui a decidere non solo un’eventuale e decisiva apertura politica ed economica al governo di transizione siriano, ma dovrà anche districare il nodo curdo. Il tutto, sullo sfondo di un Medio Oriente in subbuglio.