17 Maggio 2024
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Cronaca

Stefano Dal Corso morto in cella, spunta un testimone. Il caso arriva in Parlamento

«Sono stata contattata da un uomo che dice di lavorare in quel carcere». Uno che ha visto tutto, ha pure un video dell’aggressione avvenuta contro il 42enne Stefano Dal Corso morto il 12 ottobre del 2022 nel carcere di Oristano, si mette in contatto con la sorella Marisa Dal Corso. La procura riapre le indagini e il caso arriva in Parlamento, ma le interrogazioni presentate vengono rigettate.

«Stefano non avrebbe mai rinunciato a sua figlia. E mai alla sua vita». Marisa Dal Corso è la sorella di Stefano, il 42enne morto il 12 ottobre del 2022 nel carcere di Massima, alle porte di Oristano, in circostanze poco chiare.

«Sono stata contattata da un uomo che dice di lavorare in quel carcere. Che dice di aver assistito al pestaggio di mio fratello. Mi ha descritto gli indumenti di Stefano. Mi ha detto di avere un video dell’aggressione e mi ha rivelato che, dopo la sua morte, cinque agenti sarebbero stati allontanati dalla struttura. Ha informazioni dettagliate e agghiaccianti». La procura ha riaperto le indagini sullo strano suicidio di Stefano Dal Corso lo scorso settembre e per sette volte ha rigettato la richiesta di un’autopsia avanzata dai familiari di Stefano. «Ci rifiutiamo di seppellirlo. È stato trasferito a Roma in una bara di zinco e il suo corpo è fermo in una cella frigorifera perché da subito non abbiamo creduto alla versione del suicidio. Sarebbe tornato libero da lì a poco perché impiccarsi? Aveva già trovato un lavoro come cuoco grazie all’intervento di un assistente sociale e con la compagna avrebbe preso una casa in affitto. Aveva dei progetti. Era ormai libero anche dalla dipendenza da eroina. Mai si sarebbe tolto la vita».

Secondo la nuova testimonianza a Stefano Dal Corso sarebbe stato spezzato l’osso del collo a colpi di spranga e manganello.  «Mio fratello si sarebbe fermato nel carcere di Oristano solo per qualche giorno per seguire un’udienza del suo processo. Aveva rinunciato alla teleconferenza e scelto invece il trasferimento per poter incontrare la figlia di sette anni che vive a Paulilatino, un piccolo comune della provincia. Dopo sarebbe rientrato a Roma, a Rebibbia. Per la provvisorietà della sua detenzione era stato messo nella cella all’interno dell’infermeria. E da quella cella avrebbe assistito a un rapporto sessuale tra due operatori del carcere». Questo il movente rivelato dal presunto testimone che la procura di Oristano, ad oggi, non ha ancora identificato.

«Lo hanno picchiato e ucciso. Mio fratello, stando a questa testimonianza, sarebbe stato spogliato dei vestiti che aveva addosso perché sporchi di sangue, e quindi rivestito con un pantaloncino e una canottiera blu. Indumenti non suoi». Intanto il legale della famiglia Dal Corso precisa che nel fascicolo non ci sarebbero immagini del corpo sospeso. «Le uniche foto – dichiara l’avvocato Armida Decina –  sono state scattate quando era già sdraiato e rivestito. E i segni sul collo sono stati giudicati dai nostri medici legali incompatibili con l’impiccagione ma più simili a quelli per strangolamento». Nelle relazioni redatte in carcere e consegnate ai familiari si legge che Stefano Dal Corso si sarebbe impiccato alla grata della finestra e avrebbe usato un taglierino per ricavare da un lenzuolo un cappio: «Nonostante le richieste –  riprende l’avvocato Armida Decina –  non ci è stato mostrato il taglierino né i video delle telecamere di sicurezza. Dalle foto emerge chiaramente come la finestra della cella sia situata troppo in basso per consentire a un corpo di penzolare. Il letto è stato fotografato rifatto e senza strappi fra le lenzuola».

Il caso è arrivato in Parlamento con due interrogazioni presentate dal deputato Roberto Giachetti e dalla senatrice Ilaria Cucchi ed entrambe sono state ignorate dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Al momento non ci sono persone indagate e dal carcere di Oristano preferiscono non commentare.

 

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