19.12.2023
Il 3 dicembre è stata celebrata la giornata internazionale delle persone disabili, motivata dalla convenzione delle Nazioni Unite per il rafforzamento dei servizi di sostegno a favore di un fenomeno sommerso che investe quasi 4 milioni di persone. Occorrerebbe una svolta culturale?
È un vero e proprio esercito, non belligerante però, anche se sta in prima linea ogni giorno. Dimesso nei modi, ma tenace nel contrasto a un sistema sociale dal quale si sente ignorato. È il popolo minuto e paziente degli esclusi, di chi assiste in casa o altrove un proprio caro, affetto da una disabilità temporanea o permanente. Un fenomeno sommerso che investe quasi 4 milioni di persone (3 ufficiali e il resto che non ha ancora ottenuto il riconoscimento per la legge 104, Istat) che vivono (male) con almeno un parente a cui garantire non solo assistenza sociosanitaria, ma un sostegno morale. Sempre sul ciglio del baratro con la disabilità che diventa anche spettro di un isolamento strisciante e d’una ricaduta economica rovinosa per le famiglie.
Come si fa a fronteggiare l’aumento sensibile delle spese per le cure mediche e l’acquisto di attrezzature indispensabili per l’assistenza domiciliare? Come sanare le risposte inadeguate (per 8 italiani su 10) da parte del Servizio Sanitario Nazionale, che costringe 4 italiani su 10 a spostarsi dalla propria regione per trovare in altre strutture (con relative spese accessorie) un’assistenza accurata? Il rapporto dell’Osservatorio “Cittadini e disabilità” 2023 di SWG sul Ssn, ancora ritagliato sul malato e non su quello con disabilità, appare impietoso, per la mancanza di protocolli specifici, la cronica carenza di personale specializzato, pur a fronte di abnegazione e competenze dei medici percepite da tutti come encomiabili.
Al di là dello spontaneismo personale mirato al “prendersi cura” delle persone in difficoltà (cosa diversa dal “solo” curare), si materializza il ritardo culturale dell’accessibilità alle cure stesse, nel perdurante vuoto di un percorso calibrato per il disabile. Così, i diritti delle fasce più esposte e fragili vengono disattesi e l’abbattimento delle disuguaglianze in tutti i settori della sanità, si tramutano in chimera. La stessa situazione deficitaria che espone a rischio povertà il 32,5 % delle persone disabili (Eurostat 2023), con lo strascico della famiglia che si è assunta la responsabilità di soccorrere e fornire cure amorevoli ad un proprio congiunto in difficoltà. Chi assiste deve farsi carico di tutto, facendo sacrifici economici, rinunciando spesso al proprio lavoro e allo spazio del tempo, per accantonare pure l’inclusività sociale.
Anche l’Osservatorio Nazionale della Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica di Roma denuncia che le persone disabili siano in gran parte anziane e più di un terzo di queste vivano da sole, con una quota di spesa destinata a politiche per la disabilità ancora troppo bassa rispetto ad altri Paesi UE. Ma se le leggi latitano e il Parlamento “decide di non decidere”, e Comuni, unità sanitarie territoriali non riescono a garantire supporti alternativi, pregiudicando anche scuola, sport ed inserimento lavorativo dell’assistito, si comprende come il welfare moderno debba superare l’approccio risarcitorio basato quasi esclusivamente sui trasferimenti monetari, senza sincerarsi se questi siano efficaci. Un sistema assai fragile, con famiglie esemplari, sì, nella loro dedizione e presenza costante, ma soggette a una realtà precaria che non riesce a garantire aiuti economici (per tacere dei diritti retributivi e pensionistici) ed un’efficiente rete di servizi umanizzati che metta la persona in difficoltà al centro, per assicurarle una presa in carico totale. La strada della vulnerabilità è impervia, ma va percorsa. Per contrastarla.