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“Ti chiamo?”, “No, mandami un messaggio”

06.08.2024

Le chiamate trasmettono disagio. Non rispondere al telefono è un’abitudine che accumuna la maggior parte dei giovani in tutto mondo. Preferiscono la lentezza delle conversazioni messaggistiche, evitando il confronto diretto. Motivazioni e curiosità.

Se “Call me” fosse stata scritta non dalla rock band new wave degli anni Settanta, ma da un gruppo di ragazze e ragazzi della Generazione Z si intitolerebbe probabilmente “Text me”. Sì, perché ormai lo sappiamo tutti, e ne abbiamo preso atto: ai giovani le telefonate proprio non piacciono.

Secondo un’indagine condotta dal Times of London, in particolare, quasi 1 giovane su 4 di età compresa tra i 18 e i 34 anni dichiara di non rispondere al telefono quando riceve una telefonata. Il motivo? Troppo stressante. Il fenomeno, però, non riguarda solo i giovani inglesi. In Giappone, per esempio, parlano di “generazione silenziosa”, non perché a loro piaccia stare in silenzio, chiaro. Semplicemente, evitano le telefonate, preferendo messaggi scritti o vocali. E di certo da questo meccanismo non sono esenti i nostri connazionali. Insomma, è uno di quei casi in cui “mondo è Paese”. Ma perché le nuove generazioni non vogliono rispondere al telefono?

C’è chi, lì per lì, potrebbe pensare che la questione riguardi la tecnologia in sé e per sé: se sono nativi digitali, è ovvio che si trovino a loro agio con i nuovi mezzi. In realtà c’è una motivazione più profonda, che ha più a che fare con l’ansia, l’ansia di dover affrontare una conversazione diretta, immediata. Il che, sembra generare un disagio emotivo più difficile da gestire.
La messaggistica, al contrario, consente di prendersi il tempo necessario per riflettere e rispondere, senza l’angoscia dettata dall’immediatezza e dall’irreversibilità della conversazione telefonica. Ancora, la comunicazione scritta favorisce un maggiore controllo dell’immagine personale. E in un mondo che giudica costantemente i giovani e li mette sotto pressione a suon di “io alla tua età…”, “e tu quando ti sposi?” e “ma tu cosa aspetti a fare dei figli”, ecco che hanno trovato un modo, una scappatoia per cercare di gestire la propria immagine.

Dunque, la paura di non essere presi seriamente – soprattutto sul lavoro –, la paura di essere costantemente giudicati, la paura di sbagliare e di non saper gestire la propria emotività ha portato un’intera generazione e anche di più a rifugiarsi dietro parole scritte. Una tendenza che non va però interpretata come maleducazione, ma semplicemente come il riflesso di un cambiamento nei modi di comunicare. Modo che, in un mondo che diventa sempre più veloce, cerca un po’ di lentezza. Ma che non potrà mai sostituire il calore del contatto umano. Forse.

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