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Cultura

Tolkien, appassionato di Dante e della lingua italiana

19.11.2023

La figura di Gollum, "Il Signore degli Anelli"

Emblema della letteratura fantasy del Novecento, una mostra a Roma “Tolkien: uomo, professore, autore” ne ripropone la dimensione letteraria, familiare e politica, e le sue influenze nel mondo dell’arte, dei fumetti e della musica. Se in Inghilterra voleva restituire una sorta di mitologia (mai posseduta), con l’Italia continua ad alimentare l’inesausta passione per Dante.

A cinquant’anni (2 settembre 1973) dalla scomparsa, la figura di J.R.R Tolkien è ancora tra noi, con un effetto moltiplicatore. Assenza, più acuta presenza, avrebbe ironizzato col suo humour britannico, intinto d’origini sudafricane con nuances prussiane. Il nostro, professore ad Oxford, nonché glottoteta, filologo e linguista, annulla la dimensione spazio-temporale, continuando a incarnare quella natura transmediale che ne è stata la caratteristica principale. Basterebbe l’analisi contemporanea dei suoi testi per intendere la capacità bulimica di una scrittura che, a ventaglio, ha conquistato intere generazioni.

Con quell’impronta primigenia, non di fuga, ma di aderenza alla complessità del reale, attraverso miserie e glorie che abitano storie di personaggi anche contraddittori, ma sempre alla ricerca nostalgica di una luce. Superato lo scoglio di un’editoria non avvezza a “fantasticherie nordiche e spiritosaggini con il linguaggio delle fate”, dopo di lui, ispiratore e principe, si è dilatata la galassia dell’heroic fantasy. Eccola, dunque, la moltiplicazione di adattamenti cinematografici (successo planetario del film in tre parti di Peter Jackson, anni duemila) e serie tv internazionali, scie inventive su fumetti e musica (i Led Zeppelin), grazie a un autore capace di raccontare il Mito come i grandi narratori di un passato scomparso (ma vivo), in un’epoca rassegnata all’antiromanticismo, per la quale la sensazione tolkieniana (conservatrice, antimoderna, sì, ma autentica) di registrare “qualcosa che esisteva già” (cit), diventava atto d’umiltà e voglia di intercettare l’inedito.

E se in Inghilterra volle restituire una sorta di mitologia (mai posseduta), è con l’Italia che Tolkien continuò ad alimentare l’inesausta passione per Dante (attraverso la Oxford Dante Society), dichiarando in una lettera al figlio Christopher, «sono innamorato dell’italiano e mi sento abbandonato senza la possibilità di parlarlo». Da cattolico tradizionalista, nei suoi viaggi italiani (1955 e 1956), confessò di essere giunto nel cuore della Cristianità, come un esule che ritorna nella casa dei padri. Quella figura sfaccettata di scrittore e studioso, ma anche di uomo, amico e padre, capace di parlare a persone lontane nel tempo in cui le opere furono pensate e pubblicate, con lo scopo malcelato di edificare il fantastico come «una delle grandi case dove desideriamo abitare», resta traccia percettibile.

Si aprono, allora, su ispirazione del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, gli spazi avvolgenti della Galleria Nazionale d’Arte Moderna (Gnam) di Roma, per una mostra organica, percorso espositivo e insieme omaggio ammirato a una personalità centrale della narrativa mondiale, «ben al di là del genere fantasy in cui si è cercato di “recintare la sua opera”. Ed una volta dentro, si propaga il flusso ininterrotto di immagini e storie: la Terra di mezzo, regione del mondo immaginario di Arda, Lo Hobbit, o la riconquista del tesoro; il Silmarillion; il Signore degli Anelli, e le imprese della Compagnia dell’anello, intenta a distruggerlo prima che finisca nelle mani del malvagio Sauron. Con John Ronald Reuel Tolkien che sembra quasi suggerire di accantonare le forzature interpretative, per lasciarsi trasportare dalla potenza dei racconti. Meglio il Mito, che le contemporanee appropriazioni da parte dell’industria dell’intrattenimento.

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