Nella Sabina laziale un gruppo di ricercatori sta sperimentando un nuovo modo di proteggere i raccolti, mettendo insieme droni biologici, intelligenza artificiale e sensori solari. È il progetto Simodrofila, frutto della collaborazione tra Enea, Crea, aziende agricole del territorio e la Società Agricola Colle Difesa. L’obiettivo è chiaro: difendere pesche, ciliegie e altre coltivazioni dagli attacchi di parassiti alieni, come la temibile cimice asiatica, riducendo al minimo l’uso di pesticidi.
Uno dei cardini del progetto è il monitoraggio georeferenziato delle infestazioni. Una rete di trappole posizionate nei frutteti invia dati settimanali sulla presenza dei parassiti, aiutando gli agricoltori a intervenire solo dove e quando serve. Un approccio chirurgico che punta a tutelare l’ambiente e a migliorare la qualità della produzione.
Dal moscerino alla cimice
Le specie sotto osservazione sono diverse e tutte aggressive. Il moscerino asiatico (Drosophila suzukii) e la mosca mediterranea della frutta (Ceratitis capitata) sono tra i nemici principali della frutta laziale, ma si fa strada anche la Rhagoletis cerasi, specializzata nel colpire i ciliegi. E poi c’è lei, la superstar delle infestazioni: la cimice asiatica (Halyomorpha halys), già famosa per i danni causati in Piemonte ed Emilia-Romagna, ora sempre più presente anche nel Lazio.
“La cimice asiatica è un avversario formidabile per via della sua elevata adattabilità e voracità. Colpisce kiwi, pesche, nocciole e ciliegie, con danni economici anche gravi”, spiega l’entomologo Enea Raffaele Sasso.
Trappole intelligenti e agricoltura 4.0
La risposta non è l’ennesimo pesticida, ma una strategia high-tech. I ricercatori di Enea e Crea hanno messo a punto una trappola solare dotata di microcamera e sensori ambientali. Non solo cattura gli insetti, ma li fotografa e invia i dati direttamente allo smartphone dell’agricoltore. Tutto in tempo reale. È l’agricoltura 4.0 che prende forma.
“Con queste tecnologie possiamo costruire un sistema di allerta precoce e decisione informata, riducendo gli interventi chimici e migliorando la resa”, sottolinea Maurizio Calvitti, coordinatore scientifico del progetto.
Ma l’innovazione non si ferma al digitale. Il team ha anche avviato la selezione di varietà di ciliegio e pesco meno appetibili per gli insetti, studiandone le caratteristiche come acidità, colore e zuccheri.
Dove si nascondono i nemici? La risposta è nella biodiversità
Un altro fronte di ricerca riguarda l’ambiente che circonda i campi coltivati. I ricercatori hanno analizzato le specie vegetali spontanee che fungono da rifugio per i parassiti nei mesi freddi. More, bacche e arbusti selvatici diventano basi invernali per il Drosophila suzukii, che poi torna all’attacco in primavera.
“Capire come si muove la biocenosi – la comunità biologica locale – è fondamentale per prevenire gli attacchi. Non si tratta solo di proteggere i campi, ma di leggere il paesaggio come un ecosistema complesso”, spiega Elena Lampazzi del Laboratorio Enea Agricoltura 4.0.
E il cambiamento climatico, con inverni più miti e piogge irregolari, sta rendendo la partita ancora più difficile. I parassiti resistono più a lungo, anticipano le ondate di infestazione e aumentano la pressione sulle colture locali.
Bollettini e bio-controllo
Accanto alle trappole smart, il progetto ha previsto anche la pubblicazione di bollettini settimanali per le aziende agricole: meteo, andamento delle infestazioni e consigli sui trattamenti fitosanitari più adatti, con preferenza per i prodotti a basso impatto. Un supporto informativo pensato per chi lavora ogni giorno nei campi.
Ma non è tutto: per contenere la diffusione dei parassiti, si è avviato il rilascio controllato di insetti antagonisti. Un modo per usare la natura contro sé stessa, ma con intelligenza e senza rischi per le colture o per la salute.
Il progetto ha anche una valenza economica e sociale importante. Il 70% della frutta laziale viene dalla Sabina, dove predominano piccole e medie aziende, spesso a conduzione familiare. Queste realtà hanno finora fatto affidamento su trattamenti chimici calendarizzati, con tutti i limiti del caso.
“Oggi la Sabina è un laboratorio a cielo aperto. Qui agricoltura, scienza e tecnologia stanno costruendo un nuovo modello produttivo: sostenibile, replicabile e attento alla salute del consumatore”, conclude Calvitti.