28.06.2024
Nonostante la minuziosa preparazione, la percezione dell’energia di Trump ha prevalso sull’evidenza degli 81 anni di Biden apparso inadeguato alla gestione della grande potenza USA. Il suo partito, che fino a pochi giorni fa accusava la stampa di dare troppo spazio alle sue gaffe, rispetto a quelle di Trump, inizia ad abbandonarlo. Le analisi.
Le smargiassate dette in scioltezza battono la serietà in affanno. Il primo dei tre dibattiti tra i Donald Trump e Joe Biden si è chiuso con la conferma delle rispettive debolezze, ma anche con la percezione di una netta vittoria del repubblicano sul democratico. È troppo presto per dire se si tratti di un’anticipazione del risultato di novembre, ma tutti gli osservatori sono concordi nel dire che per Trump la vittoria sembra più vicina.
Dai risultati economici all’impegno per l’ambiente, dalle farsesche misure contro il Covid (iniettarsi la candeggina!) al non aver iniziato guerre, Trump ha ripetuto molti dei suoi cavalli di battaglia, in gran parte falsi o esagerati. I democratici hanno lamentato la mancanza delle verifiche che i moderatori si erano impegnati a fare, ma il punto non è mai stato quello.
A inchiodare Biden non sono stati i contenuti, ma le immagini. Il suo lento e faticoso ingresso nello studio della CNN di Atlanta è parso confermare subito il nomignolo di “Sleepy Joe” affibbiatogli da Trump, così com’è stato devastante il suo perdersi in un paio di risposte. La percezione di energia personale di Trump ha prevalso sull’evidenza degli 81 anni di Biden non adeguati alla gestione di un grande Paese alle prese con sfide enormi. I primi piani delle telecamere hanno offerto un confronto impietoso tra il volto di Biden, sbiancato dai segni dell’età, e quello falsamente giovanile di Trump, generosamente irrorato di fondo tinta. A parti inverse, è quanto accadde nel 1960 al Nixon che sudava vistosamente mentre il suo avversario Kennedy sorrideva biondo come un dio greco.
Alla vigilia del dibattito, alcuni democratici pensavano che Trump si sarebbe chiamato fuori all’ultimo momento, adducendo vaghe accuse di regole truccate o favoritismi. Biden non ci ha creduto, e si è preparato minuziosamente, come si è visto nelle sue risposte migliori. Purtroppo, quelle che passeranno alla storia – e prima ancora, all’inconscio degli elettori – saranno le peggiori, nelle quali è apparso perduto e annaspante. Senza nemmeno la scusa di una selezione o montaggio forzato da parte degli avversari.
La performance, modesta persino per i modesti standard oratori di Biden, ha preoccupato molto lo schieramento democratico. La vicepresidente Kamala Harris, una delle promesse non mantenute di Biden, è intervenuta sulla CNN per circoscrivere i danni, parlando di una “partenza lenta”. Dietro questa facciata di sostegno, l’apparato del partito ha preso a interrogarsi molto seriamente sulla possibilità di sostituire Biden con un altro candidato. Lo stesso apparato che fino a pochi giorni fa accusava la stampa mainstream di dare troppo spazio ai problemi di Biden rispetto a quelli di Trump sta iniziando ora ad abbandonarlo.
Come andrà a finire, è difficile dirlo. Appena ieri, la media dei sondaggi effettuata dal New York Times mostrava una sostanziale parità a livello nazionale e superiorità repubblicana in cinque stati chiave. L’unica certezza è che dopo il dibattito, per Biden quegli stati saranno ancora più difficili da conquistare. Con tutto ciò che ne consegue.