9 Giugno 2025
/ 9.06.2025

Trump contro l’Onu anche sulle cannucce di plastica

Il no degli Stati Uniti rischia di bloccare l’accordo internazionale per limitare i danni da plastica. Ad agosto il momento della verità, con i negoziati in Svizzera

Tra due mesi e una manciata di giorni capiremo se il sogno di un trattato mondiale sulle plastiche potrà diventare realtà. E Donald Trump sta lavorando perché finisca nel nulla. Ma andiamo con ordine. Secondo i dati Unep, nel 2024 sono state prodotte circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Di questi, a livello globale meno del 10% viene realmente riciclato. Il resto finisce incenerito, in discarica o viene direttamente disperso nell’ambiente.

L’inquinamento è così diffuso che le microplastiche ormai sono stabilmente nel nostro corpo e in quello di tutti gli altri esseri viventi. È un flusso costante che aggrava la crisi climatico-ambientale e minaccia la biodiversità. E il clima: l’inquinamento plastico alimenta infatti anche la crisi climatica. La produzione della plastica — derivata in gran parte da combustibili fossili — ha infatti generato nel 2020 oltre il 3% delle emissioni globali di gas serra. Servirebbe un cambio di passo: regolare la produzione delle plastiche, riducendola agli usi in cui è effettivamente utile e riciclandola quando è possibile.

E non basta riciclare, serve un cambiamento sistemico. Questo significa ripensare i prodotti in chiave di durabilità, riuso e riciclabilità. Significa limitare drasticamente il monouso, sviluppare alternative sostenibili e migliorare le infrastrutture di gestione dei rifiuti, soprattutto nei Paesi a medio e basso reddito. Facile a dirsi, assai complicato a farsi visti gli interessi economici in gioco. Che Donald Trump vuole rendere prioritari, operando con l’obiettivo di bloccare l’accordo globale sul clima perché l’America se ne è chiamata fuori, e quello sulla plastica per lo stesso motivo.

Il multilateralismo potrebbe essere la soluzione. Nel marzo 2022, nella quinta sessione dell’assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente è stata adottata una risoluzione storica per sviluppare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica, anche nell’ambiente marino.  La risoluzione (5/14) ha chiesto al direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) di convocare un comitato intergovernativo di negoziazione (Inc) per sviluppare “lo strumento”, che si baserà su un approccio globale che affronti l’intero ciclo di vita della plastica, compresa la sua produzione, la progettazione e lo smaltimento.

L’Inc ha iniziato i suoi lavori nella seconda metà del 2022, con l’ambizione di completare i negoziati entro la fine del 2024. Ma troppi Paesi non collaborano. Entro la fine del 2024 si sono svolte una serie di sessioni negoziali. La prima parte della quinta sessione si è svolta dal 25 novembre al primo dicembre 2024 a Busan, nella Repubblica di Corea, mentre la seconda parte si svolgerà dal 5 al 14 agosto 2025 a Ginevra, in Svizzera.

Sarà la volta buona? All’Unep ci sperano. “L’impegno del mondo a porre fine all’inquinamento da plastica è chiaro e innegabile. A Busan, i colloqui ci hanno avvicinato all’accordo su un trattato globale legalmente vincolante che proteggerà la nostra salute, il nostro ambiente e il nostro futuro dall’assalto dell’inquinamento da plastica”, ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. “Grazie ai colloqui di Busan, i negoziatori hanno raggiunto un maggior grado di convergenza sulla struttura e sugli elementi del testo del trattato, nonché una migliore comprensione delle posizioni dei Paesi e delle sfide comuni. Ma è chiaro che persistono divergenze in aree critiche e che è necessario più tempo per affrontarle”. La verità è che l’approccio ottimista delle Nazioni Unite trova un crescendo di opposizione.  

Gli schieramenti sono in movimento, soprattutto perché gli Statiti Uniti, che con Biden erano (cautamente) favorevoli a un trattato seppure nella versione meno ambiziosa, con l’ecoscettico radicale Donald Trump sono diventati uno dei Paesi contrari. Il “fronte del no” comprende Cina, Russia, Iran, Arabia Saudita, che respingono una visione definita “eccessivamente ambiziosa” del trattato, preferendo invece un trattato molto meno impegnativo, che viene descritto come “realistico”. Buoni principi, ma nulla di cogente.

Pur sostenendo una corretta gestione dei rifiuti di plastica, queste nazioni si oppongono alla limitazione della produzione di plastica e si oppongono alle disposizioni commerciali contenute nel trattato sull’inquinamento da plastica che proibiscono o limitano determinati tipi di commercio con determinati Paesi. Sono disponibili solo a impegni “comuni ma differenziati”. Simile ma differenziata la posizione dell’India: sostiene un approccio che tenga conto delle circostanze specifiche e delle capacità di conformità di ciascun Paese. Poiché lo strumento è giuridicamente vincolante, l’India ritiene fondamentale che ogni nazione determini i propri obblighi in base al proprio contributo storico e attuale all’inquinamento da plastica. Il fronte che va da Cina alla Russia all’India è un forte ostacolo a un trattato davvero efficace, ma se si unirà al no ideologico trumpiano significherà la morte del trattato, almeno nella sua versione potenzialmente efficace. Dai segnali che giungono, l’amministrazione americana appare di una contrarietà radicale: no anche ad un trattato blando.

Nell’altro campo c’è la coalizione che comprende Unione Europea, Gran Bretagna, Australia, Canada, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Svizzera, Cile, Colombia, Uruguay, Ecuador, Repubblica Dominicana, Georgia, Azerbagian e alcuni Stati africani. Il loro obiettivo è promuovere un trattato ambizioso che ponga fine all’inquinamento da plastica entro il 2040. A differenza dei gruppi precedenti, queste nazioni “ad alta ambizione” vogliono sviluppare obblighi vincolanti per “limitare il consumo e la produzione di plastica”. 

Il manifesto della coalizione riconosce in pieno la gravità del problema. “Chiediamo l’istituzione – dicono – di un ambizioso ed efficace strumento internazionale giuridicamente vincolante per proteggere la salute umana e l’ambiente dall’inquinamento da plastica, con l’obiettivo di porre fine all’inquinamento da plastica entro il 2040. Riconosciamo l’imperativo di sviluppare obblighi e misure di controllo comuni e vincolanti a livello internazionale, per l’intero ciclo di vita della plastica, tenendo conto dell’approccio precauzionale, della gerarchia dei rifiuti e del principio ‘chi inquina paga’, per contenere il consumo e la produzione di plastica a livelli sostenibili e consentire un’economia circolare per la plastica che protegga l’ambiente e la salute umana, realizzando al contempo una gestione e un riciclaggio ecologicamente corretti dei rifiuti di plastica”.

“Concordiamo – aggiungono poi – sulla necessità di: lavorare per un trattato internazionale che elimini le plastiche, le sostanze e gli additivi problematici, anche attraverso divieti e restrizioni; sviluppare criteri e standard globali di sostenibilità per le plastiche; stabilire linee di riferimento e obiettivi globali per la sostenibilità lungo l’intero ciclo di vita delle plastiche; garantire la trasparenza nella catena del valore delle plastiche, anche per quanto riguarda i materiali e la composizione chimica lungo l’intero ciclo di vita delle plastiche; stabilire meccanismi per rafforzare gli impegni, gli obiettivi e i controlli nel tempo; implementare il monitoraggio e la rendicontazione in ogni fase del ciclo di vita delle plastiche; agevolare un’efficace assistenza tecnica e finanziaria, nonché valutazioni scientifiche e socio-economiche”. Belle parole, ma allo stato, non c’è nessuna possibilità che questa linea possa prevalere, se non spaccando il fronte: non sarebbe più un accordo globale, ma fra alcuni Stati. E sarebbe quindi inefficace perché terrebbe fuori Cina, India, Stati Uniti, Russia.

La speranza dei negoziatori europei è che la Cina possa “smarcarsi” dal fronte dei critici e votare un testo ragionevolmente accettabile, con l’obiettivo politico, ancora più presente nelle negoziazioni climatiche, di mettere all’angolo gli Stati Uniti, anche per avere una legislazione ambientale che possa favorire le proprie industrie. Fantapolitica plastica di bassa qualità?  Forse, perchè i segnali lanciati da Bruxelles alla Cina sono per ora caduti nel vuoto e lo smarcamento trumpiano rischia di far precipitare tutto, perché la Cina non può permettere che l’industria della plastica americana possa operare senza restrizioni.

Che Trump possa far fallire il trattato è ormai più che una possibilità. Già a febbraio Donald Trump ha dichiarato guerra alle cannucce di carta e ha firmato un ordine esecutivo per bandirle e tornare a quelle di plastica, per ora all’interno dell’amministrazione federale. Era il primo passo di un progetto più ampio. Il presidente statunitense ha infatti chiesto di elaborare una strategia nazionale per porre fine alla politica, avviata nel 2022 dal suo predecessore Joe Biden, volta a vietare gradualmente entro il 2032 in tutti i parchi nazionali e nei terreni federali, la plastica monouso. Detto, fatto. La scorsa settimana il segretario agli Interni Doug Burgum ha firmato un ordine che inverte la politica dell’era Biden relativa alla plastica monouso. E non è finita qui. Oltre all’impegno del 2022 per ridurre la plastica nei parchi, nel 2024 l’amministrazione Biden aveva annunciato l’obiettivo di eliminare gradualmente gli acquisti federali di plastica monouso dagli imballaggi dei servizi alimentari, dalle operazioni e dagli eventi entro il 2027 e da tutte le operazioni federali entro il 2035. Anche questo impegno sarà cancellato.

“La cannuccia – ha commentato con soddisfazione Matt Seaholm, presidente dell’Associazione americana dei produttori di plastica – è soltanto l’inizio, comincia il movimento per il ritorno alla plastica”. Benvenuti nell’era della controriforma. Più plastica per tutti, più affari per l’industria e pazienza per quello che succede all’ambiente.

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