Il 2025 dell’informazione si chiude con un bilancio drammatico: 67 giornalisti uccisi mentre svolgevano il loro lavoro. Un numero che da solo basterebbe a descrivere la fragilità della libertà di stampa nel mondo, ma che diventa ancora più allarmante se si considera dove questi reporter sono caduti. Quasi la metà è morta nella Striscia di Gaza, trasformata nell’epicentro globale del pericolo per chi informa. Lo racconta l’ultimo report di Reporter senza frontiere.
Gaza, dove raccontare diventa impossibile
A rendere Gaza il luogo più letale per la stampa è la combinazione di assedio, bombardamenti continui, assenza di vie sicure, impossibilità di distinguere zone civili da zone militari e totale mancanza di protezioni reali per chi documenta. A questo quadro già drammatico si aggiunge il dato più ampio che arriva dalle organizzazioni internazionali: dal 7 ottobre 2023 a oggi più di 220 giornalisti sono stati uccisi nella Striscia.
È una cifra che fotografa un contesto senza precedenti: nessun conflitto contemporaneo ha prodotto un numero simile di vittime tra gli operatori dell’informazione. Qui il giubbotto con la scritta “PRESS” non è una protezione: è un bersaglio.
Le altre guerre che inghiottono cronisti
Ma non si muore solo a Gaza. Gli altri casi del 2025 si distribuiscono tra conflitti dimenticati, crisi politiche e regimi che considerano la stampa indipendente un fastidio da eliminare. In molte zone di instabilità cronica, il lavoro dei reporter è reso impossibile da milizie locali, apparati di sicurezza fuori controllo o gruppi criminali che temono la luce dell’informazione.
In alcuni episodi le vittime sono rimaste coinvolte in attacchi o combattimenti; in altri la dinamica suggerisce esecuzioni mirate: togliere di mezzo chi racconta pare sia considerato un modo per far passare una versione pilotata della realtà.
Un mestiere sempre più esposto
Il quadro che emerge è quello di una categoria sempre più vulnerabile. Caschi, giubbotti, accrediti internazionali: strumenti utili, ma insufficienti in guerre dove le regole sono saltate e la distinzione tra civile e combattente viene ignorata.
Ancor più esposti sono i giornalisti locali e i freelance, spesso con pochi mezzi, senza supporto legale e senza protezioni. È la fascia che paga il prezzo più alto.
Dietro ogni nome c’è una storia spezzata, ma anche una storia che non verrà mai più raccontata. Quando un giornalista muore, non perdiamo solo una voce: perdiamo un argine all’arbitrio, un frammento di verità, un pezzo di realtà che rischia di svanire nel buio.
