8 Ottobre 2025
/ 8.10.2025

Ucraina, sale il rischio centrali nucleari

Onufrio (Greenpeace): “Se si combatte nei pressi di un impianto nucleare, usandolo magari come scudo, il rischio dell’errore è alto e l’incidente incombe”

Non ci sono solo le preoccupazioni per l’alto costo del chilowattora, per la possibilità di incidenti e per la gestione delle scorie a dover essere considerate prima di prendere in considerazione un ritorno al nucleare. In un mondo tornato ad essere quantomai instabile e nel quale le guerre come quella in Ucraina hanno interessato indirettamente anche impianti nucleari, c’è anche una questione di sicurezza.

“Storicamente”, osserva Giuseppe Onufrio, fisico e senior advisor di Greenpeace Italia, “i siti nucleari possono sempre essere obiettivi. Sia diretti, penso al bombardamento israeliano della centrale nucleare in costruzione ad Osirak in Iraq nel 1981 o gli attacchi americani ai siti di arricchimento iraniani, sia indiretti, come vediamo nella guerra in Ucraina. Dove si assiste ad attacchi incrociati alle aree delle centrali – particolarmente gravi a Zhaporizhia usata dai russi come scudo per la loro artiglieria – che hanno più volte causato danni agli impianti mettendoli a rischio anche per le ripetute interruzioni delle linee elettriche per il raffreddamento degli impianti, e che potenzialmente potrebbero causare un’altra Fukushima”.

“E poi”, prosegue Onufrio, “c’è stato l’attacco russo al sarcofago di Chernobyl, i droni ucraini disturbati elettronicamente e caduti sulle centrali russe e molti altri episodi. In linea di massima la minaccia diretta è bassa, perché nessuno può sapere dove andrà la nube radioattiva che si sprigionerebbe dopo un attacco diretto, e quindi si evita di sparare direttamente alle centrali, ma se si combatte nei pressi di un impianto nucleare, usandolo magari come scudo, il rischio dell’errore è alto e l’incidente incombe. Per quanto un reattore sia progettato bene, non è pensato per resistere prolungatamente all’artiglieria pesante o ai missili”.

In questo senso il ritorno al nucleare in Italia, sostiene Onufrio, vorrebbe dire “disseminare il territorio di possibili target”. “E’ ovvio, che un piccolo reattore – argomenta Onufrio – comporta un rischio minore di un reattore grade. Ma consiglierei di vedere un po’ i numeri. L’unico SMR che ha avuto un’approvazione dal regolatore è il modulo da 77 MW dell’americana Nuscale. Nuscale fa moduli da assemblare in gruppi di sei, per un totale di 462 mgawatt a centrale. Ora, dato che il governo italiano vorrebbe fare come minimo 7 gigawatt da nucleare di supposta nuova generazione, questo significa 15 siti da 462 megawatt. A parte il fatto che è tutto da vedere dove li troviamo tutti questi siti dato che non siamo in grado neppure di trovarne uno per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, ci rendiamo contro che dissemineremmo il territorio di possibili punti sensibili, possibili target?”.

“Se anche arrivasse il Nuward, progetto della francese EDF a cui partecipano Ansaldo ed Edison e che prevede un modulo da 400 megawatt, e che ha peraltro ha tecnologia convenzionale essendo un PWR, un reattore acqua pressurizzata – prosegue – sempre 15 siti servono. E poi teniamo presente che un reattore da 400 MW non è poi così piccolo, perché un reattore da 400 MW è più grande delle ex centrali di Trino, di Latina o del Garigliano, è cioè più grande di tre dei quattro che avevamo”. A questa questione va aggiunta quella della sostenibilità economica. “Una recente ricerca sugli SMR americani pubblicata da Progress in nuclear energy – chiosa Onufrio – indica come gli SMR siano significativamente più costosi dei reattori tradizionali, in termini di prezzo dell’energia prodotta. Alle stesse conclusioni è giunto l’MIT confrontando un reattore AP1000 rispetto ad un AP300: il più piccolo produce elettricità a un costo del 50% superiore rispetto al fratello maggiore. E quindi, no, il prezzo dell’elettricità non diminuirà affatto con SMR o comunque con piccoli reattori. E’ vero il contrario esatto. E quindi la scelta di tornare al nucleare è puramente ideologica, non economica”.

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