Sull’epidemia da fastidiosa che ha stroncato gli ulivi del Salento c’è stato per anni un confronto piuttosto acceso tra chi sosteneva la posizione ufficiale (seguire il protocollo: tagliare le piante infette e quelle vicine anche se apparentemente sane per creare un cordone di sicurezza attorno all’infezione) e chi sosteneva che c’era una possibilità di salvare una parte delle piante dell’area invasa dalla Xylella
Il “complesso del disseccamento rapido dell’olivo” in Puglia è ancora considerato una rilevante emergenza fitosanitaria. La presenza del batterio da quarantena sottospecie pauca in nuove aree più a settentrione del Salento, sia pur in misura molto ridotta rispetto ai primi anni dell’epidemia, ancora rimanda all’adozione di stringenti misure profilattiche che prevedono l’abbattimento degli olivi risultati positivi ai test diagnostici nelle aree “contenimento” e “cuscinetto”.
Tuttavia, la Xylella può essere efficacemente contrastata applicando strategie di contenimento sostenibili, di costo contenuto e adottabili anche dalle aziende in regime biologico che prevedono sia la riduzione del numero di cellule del batterio nell’albero mediante trattamenti alla chioma con zinco-rame-acido citrico che la significativa riduzione del numero di insetti vettore. Quest’ultima finalità si può raggiungere mediante la riduzione del numero di uova presenti nel terreno e delle forme giovanili dell’insetto: in inverno effettuando una leggera erpicatura per distruggere le uova e a fine primavera con sfalci delle erbe per le forme giovanili.
Parallelamente vanno adottate pratiche agronomiche in grado di mantenere a livelli soddisfacenti la fertilità del suolo. La strategia, al pari di quanto tradizionalmente avviene per la gestione di tutte le malattie delle piante, consente di mantenere vivo e produttivo l’oliveto, pur in presenza del batterio. Numerosi sono gli esempi di aziende salentine che, da molti anni, applicano tali strategie ottenendo anche premi nazionali ed internazionali per la qualità del loro olio. Queste strategie sono di vitale importanza per il mantenimento in vita anche di territori di notevole importanza paesaggistica e turistica come la Valle d’Itria, caratterizzata dalla presenza di numerosi esemplari di olivi secolari e millenari. La salvaguardia di tale ambiente, che rappresenta un unicum mondiale, è da ritenersi di fondamentale importanza.
Va aggiunto, inoltre, che estesi studi epidemiologici, volti a chiarire la complessità del fenomeno “disseccamento dell’olivo” in Puglia, hanno fatto emergere che, unitamente al batterio, coesistono altri importanti fattori in grado di aggravare notevolmente la situazione. I più rilevanti sono la presenza contemporanea nell’albero già colonizzato dalla Xylella di funghi molto virulenti, quali Neofusicoccum, e le ricorrenti siccità estive, accompagnata da temperature dell’aria molto elevata per numerosi giorni consecutivi.
L’insieme di tali fattori porta ad un indebolimento generale dell’albero con conseguenze, molto spesso, di provocare l’avvizzimento totale della pianta. È quanto successo su vaste aree olivetate delle province di Lecce, Brindisi e Taranto oggigiorno caratterizzate da ampie porzioni di terreno abbandonato con scheletri di olivi completamente disseccati.
In tale contesto di abbandono, tuttavia, un fenomeno, non aspettato dai più, per un recupero parziale dell’olivicoltura salentina è rappresentato dal diffuso fenomeno di “resilienza” attualmente in atto e ben visibile in molti oliveti dei comuni della provincia di Lecce, precedentemente danneggiati ed abbandonati a loro stessi. Questi oliveti, ottenuti dalle cultivar autoctone salentine Cellina di Nardò e Ogliarola salentina, furono tra i primi ad essere colpiti dal deperimento negli anni 2008-2015.
“Non c’è cura o convivenza con la Xylella” fu il messaggio ampiamente diffuso in Puglia e, conseguentemente, gli olivicoltori abbandonarono del tutto ogni pratica agronomica. Tuttavia, negli ultimi cinque anni, gli oliveti non del tutto morti hanno sviluppato nuovi germogli alla base dell’albero o sulle branche e, opportunamente guidati dall’olivicoltore, hanno poi ricostituito l’intera chioma dell’albero.
In molti casi questi oliveti sono tornati in produzione fornendo un olio di notevole qualità. A riguardo c’è da notare che più di qualche frantoio del sud Salento, precedentemente chiuso per la ovvia mancanza di prodotto, ha riaperto nel corso degli ultimi due anni lavorando olive ottenute da oliveti resilienti. Studi preliminari hanno evidenziato come negli alberi resilienti sia ancora notevolmente presenta la Xylella verosimilmente contrastata da una maggior produzione da parte della pianta di alcuni ormoni responsabili dei meccanismi di difesa nei confronti degli agenti patogeni.
Inoltre, le prime analisi sulla qualità dell’olio ottenuto da olivi “resilienti” sembrano indicare un maggior contenuto in polifenoli rispetto agli olii ottenuti, nello stesso territorio, prima della comparsa dei disseccamenti. È in atto, quindi, una forma di adattamento nei confronti della malattia, fenomeno non nuovo nel Regno vegetale. Tale resilienza rappresenta una nuova possibilità di ripresa per l’olivicoltura salentina che merita di essere seguita e valorizzata.
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* Marco Scortichini è ex dirigente CREA