19 Settembre 2025
/ 19.09.2025

“Una Greenpeace al femminile può costruire ponti per l’ambientalismo”

Intervista a Chiara Campione, appena nominata direttrice mdi Greenpeace: “La sfida è convincere chi è incerto”

Quello che mi piacerebbe è che chi si avvicina a Greenpeace e la sostiene acquisti la consapevolezza che la giustizia ambientale è una battaglia popolare che mette assieme le singole persone, la comunità e il pianeta. Una battaglia che si fa per tutti, esseri umani, ecosistema e pianeta”. Dopo 18 anni in Greenpeace, Chiara Campione è diventata la nuova direttrice esecutiva di Greenpeace Italia, dando il cambio a Pippo Onufrio.

Quali sono le sue priorità?

“La nostra associazione ha due grandi sfide, da un lato tenere assieme la nostra radicalità ma anche la nostra efficacia, cioè la capacità di creare un cambiamento. Per me radicalità significa non perdere mai di vista la scala e l’urgenza del problema, mentre efficacia vuol dire continuare a tradurre questa consapevolezza in campagne che siano concrete e che al tempo stesso aprano spazi di futuro”.

In concreto, in Italia, che significa?

“Significa mettere in chiaro il ruolo e l’influenza delle aziende come Eni, significa difendere l’acqua, la cui scarsità è una nuova emergenza nazionale, vuol dire proteggere il mare che è al tempo stesso una frontiera ecologica e geopolitica. Ma significa anche portare nell’associazione sempre più persone, perché Greenpeace non può essere una organizzazione di pochi militanti, di pochi motivati attivisti e attiviste, deve essere un movimento che è capace di allargare il cerchio di chi si mobilita per questi temi e si batte per la giustizia climatica ed ambientale. La sfida è essere in grado di parlare a quelle persone che nella società italiana non vedono l’ambiente come priorità, ma che non hanno una chiusura pregiudiziale. In altre parole, che non sono ancora polarizzate in senso antiambientalista. E per parlare a loro bisogna trovare nuove narrative”.

Come con la vostra campagna a favore della salvaguardia delle api che unisce un tema ambientale all’importanza dei ricordi di ciascuno di noi, del nostro vissuto?

“Si è una campagna che unisce l’importanza della conservazione della biodiversità con i nostri ricordi e i nostri bisogni. E devo dire che nella nostra storia le campagne che sono legate alla biodiversità, dalle api alle balene, hanno sempre avuto un alto potenziale di coinvolgimento della gente, mentre quelle legate al clima sono un po’ più complesse, anche se negli ultimi anni, specialmente con le nuove generazioni, questo sta cambiando, c’è grande attenzione a diritti, pace, salute, clima”.

Vi considerate una organizzazione focalizzata suoi giovani, come giovani sono i vostri attivisti?

“Non direi, abbiamo una solidissima base di adulti, persone tra i 35 e i 60 anni. Certo, parliamo con efficacia ai giovani, ma siamo trasversali anche in termini di età”. 

Con questo governo quale è il rapporto? L’impressione è che sia un dialogo tra sordi.

“Ci piacerebbe che ci fosse una interlocuzione e proviamo ad averla, ma devo dire che non ci sono state grandi occasioni per poterci confrontare. Sul tema clima in particolare crediamo che questo governo si faccia guidare dalla deriva fossile che vendiamo in tanti altri Paesi, a partire dall’America di Trump, e anche sugli altri temi notiamo una certa distanza, direi in molti casi ideologica. Ci spiace, ma non è facile dialogare”. 

Come valutate la crescita esponenziale del negazionismo e dell’anti-ambientalismo sui social media? È un fenomeno spontaneo o guidato?

“Onestamente non so quanto è spontaneo. Certamente esiste una componente di paura, di smarrimento, di diffidenza verso gli ambientalisti e anche verso la scienza, unita a poca conoscenza di fenomeni complessi. Però il negazionismo che vediamo crescere sui social non nasce dal basso, è alimentato e organizzato e spesso anche finanziato da chi ha interesse a rallentare la transizione ecologica”.

Che significa avere alla guida di Greenpeace Italia una donna? Non è una novità assoluta, basti pensare alla presidenza di Domitilla Senni, ma la sua presenza è unita ad un vertice oggi in buona parte femminile. Cosa porta una donna a una organizzazione come Greenpeace? 

“Negli ultimi quattro o cinque anni Greenpeace ha fatto un vero e proprio giro di boa, e dopo aver avuto una leadership quasi tutta al maschile oggi abbiamo una squadra di donne in ruoli centrali. Io non penso che sia un dettaglio, ma un cambio di paradigma. Significa avere altre esperienze e priorità. Io penso che una leadership femminile sia oggi anche femminista e abbia ben chiaro che la pace, i diritti e la giustizia sociale sono aspetti diversi della stesa trama. E non perché noi donne siamo più analitiche o sensibili a questi temi, ma perché sappiamo cosa significa sfidare sistemi di potere che escludono. Credo che la capacità di includere, accogliere e generare futuro sia un imprinting femminile”.

Tentiamo un bilancio franco. La vostra lotta di questi anni è servita? Vede una crescita nella consapevolezza ambientalista del Paese oppure le vostre parole e le azioni sono largamente cadute nel vuoto  e la strada è ancora più in salita?

“Abbiamo seminato e raccolto. La nostra opera è stata utile e necessaria e ha prodotto frutti. Viviamo in un mondo nel quale la questione climatica è diventata centrale, dove la presenza di aree protette è diventata normale, dove gli effetti dell’inquinamento sulla salute umana e sull’ambiente sono un patrimonio condiviso. E questo grazie anche agli ambientalisti. No, non è stato tutto inutile, anzi. Le persone adesso hanno una percezione molto più concreta delle crisi ambientali. Certo, questo provoca un rigurgito di negazionismo e di anti ambientalismo, specie da parte di alcuni governi e di certe aziende ma questo accade proprio perché abbiamo smosso le coscienze. Se fossimo stati irrilevanti ci avrebbero ignorato. E sì, la strada è in salita ma noi continueremo a percorrerla di buon passo, per fare in modo che la nostra consapevolezza diventi coscienza collettiva”.

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