23.11.2024
ONU sempre più indifesa e delegittimata in Medio Oriente. Lo sconfinamento israeliano in territorio libanese espone i Caschi-blu posizionati sul confine da 46 anni e solleva forti dubbi sulla loro missione. I nostri quattro soldati rimasti feriti dai recenti razzi di Hezbollah conto le postazioni nemiche preoccupano l’Italia. L’Editoriale.
Forza ad interim o d’interposizione? Non è un gioco di parole, ma la differenza tra le versioni inglese e italiana del nome UNIFIL, la forza delle Nazioni Unite in Libano. Nel giorno in cui quattro dei 1.000 “caschi blu” italiani sono rimasti leggermente feriti dall’esplosione di uno o più razzi sparati da Hezbollah contro le forze israeliane, la domanda non è peregrina. Tutt’al più è tardiva: sono ormai 46 anni che UNIFIL è “provvisoriamente” schierata nel sud del Libano, per un motivo o per un altro. Oggi guidata dalla Spagna, conta diecimila soldati di oltre 30 paesi diversi.
Dal 2006, in base alla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la sua missione è quella di aiutare l’esercito libanese a mantenere una fascia di sicurezza libera da Hezbollah e, pertanto, dai tentativi di Israele di combattere la milizia filo-iraniana. Un compito improbo, perché a fronte del ritiro delle forze israeliane Hezbollah si è invece insediata ancora più stabilmente in tutto il Libano, fino a occuparne i gangli vitali e paralizzarne l’attività. Il risultato è che, di fatto, non c’è alcun esercito libanese da sostenere contro Hezbollah.
Sia pur in modo precario, l’equilibrio ha retto fino al tardo 2023, quando la milizia ha deciso di inondare la Galilea di razzi, costringendo migliaia di israeliani ad abbandonare le proprie case. Un’azione concepita per aprire un secondo fronte per Israele, di fatto appoggiando Hamas nella propria guerra a Gaza. Tutto questo ha portato l’esercito israeliano a tornare nel sud del Libano ed ha messo nei guai UNIFIL. Troppo leggermente armata per interporsi tra i contendenti – cioè separarli davvero, UNIFIL si è trovata in prima linea ed è stata colpita. Prima nelle infrastrutture e poi nei soldati.
Più che emettere comunicati indignati, bisognerà ora decidere se UNIFIL possa credibilmente operare con i paletti della 1701, oppure se questa vada rivista, ed in tal caso con quale maggioranza. Nel 2006 si raggiunse l’unanimità, ma oggi ben difficilmente si potrà raccogliere un analogo consenso rispetto a una missione più assertiva. Contro chi, poi? Nell’attuale clima internazionale, chi accetterebbe di ordinare a UNIFIL di combattere davvero contro Hamas? Una maggioranza a trazione islamica, del “Sud globale” o magari BRICS potrebbe imporre ai “caschi blu” di combattere contro Israele? Spagna e Italia, per citare i due più importanti dell’attuale UNIFIL, vorrebbero davvero scendere in campo contro lo Stato ebraico?
In queste condizioni, molti osservatori si chiedono se non sarebbe meglio chiudere UNIFIL del tutto. Una proposta sensata, che però priverebbe la regione di un potenziale strumento per fare peace enforcement dell’accordo che si spera di raggiungere. Meglio prorogare UNIFIL per l’ennesima volta, magari ridefinendone la missione per dare un contributo effettivo agli equilibri regionali. E accettando che non vi è nulla di più definitivo di ciò che è provvisorio, accettare che tra 46 anni la forza ad interim sia ancora schierata a sud del fiume Litani, senza che si sia trovato un accordo definitivo per la regione. In compenso, a breve i nostri militari feriti dovrebbero guarire ed essere dimessi dall’ospedale che ne sta curando le ferite per fortuna lievi e più facili da trattare delle contese geopolitiche.
Credito fotografico: Pasqual Gorriz (ONU, UNIFIL).