Quando l’uragano Melissa ha toccato terra nella parte orientale di Cuba con venti fino a 193 chilometri orari, l’isola era già in ginocchio. Oltre 700.000 persone sono state evacuate e il presidente Miguel Díaz-Canel ha spiegato in diretta nazionale: “Nessuno verrà lasciato indietro”.
E mentre Cuba contava i danni e la Giamaica cercava di rialzarsi, una domanda è tornata a farsi urgente: fino a che punto il cambiamento climatico sta riscrivendo le regole della meteorologia?
Nel giro di meno di 24 ore, Melissa è passata da tempesta tropicale a uragano di categoria 5, il livello massimo della scala Saffir-Simpson. Una “rapid intensification” così violenta non si registrava nell’Atlantico da anni: i venti hanno superato i 250 chilometri orari al largo della Giamaica, prima di indebolirsi lievemente e abbattersi su Cuba.
I danni materiali sono imponenti. Nella provincia di Santiago de Cuba, dove la tempesta ha toccato terra nei pressi di Chivirico, interi villaggi costieri sono stati sommersi da onde alte fino a 3,6 metri. Strade, linee elettriche e raccolti sono stati spazzati via in poche ore.
Nella vicina Giamaica la parrocchia di St. Elizabeth è finita “sott’acqua”, con decine di case distrutte e quartieri isolati. Quattro ospedali sono stati danneggiati, uno è rimasto senza elettricità, costringendo all’evacuazione di 75 pazienti. Oltre mezzo milione di persone è rimasto senza luce, mentre sette vittime sono già state confermate tra Caraibi e Antille.
A Cuba, dove la crisi economica ha già provocato gravi carenze alimentari ed energetiche, la devastazione rischia di amplificare le difficoltà quotidiane. “Ci sarà molto lavoro da fare. Sappiamo che ci saranno molti danni”, ha ammesso a The Guardian Díaz-Canel.
Una tempesta “fuori scala”
Già nel 2024 uno studio pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences” aveva proposto di aggiungere una “categoria 6” alla scala Saffir-Simpson, per le tempeste con venti superiori a 309 km/h. Gli autori, tra cui Michael Wehner e Jim Kossin, avevano avvertito che la scala tradizionale, concepita oltre cinquant’anni fa, non basta più a descrivere la potenza delle nuove tempeste.
“Oggi il cambiamento climatico sta rendendo le tempeste peggiori”, ha ribadito Wehner, scienziato del Lawrence Berkeley National Lab. L’uragano Melissa, con la sua improvvisa ascesa alla categoria 5 e la distruzione diffusa nei Caraibi, sembra confermare in modo inquietante quelle previsioni.
Negli ultimi dieci anni, cinque cicloni del Pacifico hanno già raggiunto o superato la soglia dei 308 km/h. Nessun uragano atlantico l’ha ancora fatto, ma – avverte Kossin – “con il riscaldamento globale, l’ambiente per una tempesta di questo tipo diventa sempre più favorevole anche nel Golfo del Messico”.
Secondo le loro stime, se la temperatura media terrestre superasse di 3 °C i livelli preindustriali, il numero di giorni “maturi” per una tempesta di categoria 6 potrebbe quadruplicare.
L’urgenza del cambiamento climatico
Non tutti, però, condividono la proposta. Il vicedirettore del Centro nazionale uragani statunitense, Jamie Rhome, teme che concentrarsi solo sulla velocità del vento distragga dai veri pericoli: le mareggiate, le inondazioni, le frane.
Eppure, la cronaca di Melissa racconta esattamente questo: acqua che sommerge, fango che travolge, coste che si disfano. Il vento è solo l’inizio.
Dietro i numeri, però, si intravede la geografia di un rischio globale. Cuba affronta l’uragano con un’economia stremata, Haiti e la Giamaica con infrastrutture fragili, mentre nel Nord del mondo cresce la distanza tra chi emette più CO₂ e chi ne paga gli effetti.
“Ci sarà molto lavoro da fare”, ha ripetuto Díaz-Canel. Ma a mancare, sempre più spesso, è il tempo. L’acqua che sale, i venti che accelerano, gli oceani che si scaldano oltre i 30 °C: i segnali si moltiplicano e la scala delle tempeste – come suddetto proposta oltre cinquant’anni fa – sembra ormai inadatta a misurare la nuova era del clima.
Gli uragani come Melissa non sono solo catastrofi meteorologiche: sono termometri planetari, indicatori del punto di non ritorno che ci avvicina a un futuro di tempeste “fuori scala”.
