12.09.2024
Nel 2023 è sceso al 10,5%. Ma l’Italia resta il quinto Paese con il più alto tasso di dispersione scolastica a livello europeo. L’allarme preoccupa, soprattutto, tra gli studenti stranieri e le regioni del Sud. Focus sulle cause sociali e strutturali.
“Colui che apre la porta di una scuola, chiude una prigione”, scriveva Victor Hugo. E, per quanto sia vissuto lontano dal nostro tempo, è un assunto pur sempre valido. Perché l’importanza dell’istruzione la conosciamo bene. Ma c’è un concetto, forse troppo poco conosciuto al di fuori del settore, che ci racconta una fragilità della società: l’abbandono scolastico. Con il termine, si designano tutti quegli studenti che o lasciano il percorso di studi prima del completamento del ciclo o che completano il percorso di studi senza però averne acquisito le competenze base. Un fenomeno, questo, che nel nostro Paese ha raggiunto picchi storici nel corso della pandemia e nel periodo immediatamente successivo, ma che ora, seppur lentamente, è in calo. Nello specifico, nel 2023 è sceso al 10,5%, in calo sia rispetto all’11,5% del 2022, sia al 12,7% del 2021. Bene, dunque. Un dato che però, ancora, non fa dormire sonni tranquilli, perché l’Italia resta il quinto Paese in Europa con il più alto tasso di dispersione scolastica.
Ma che cosa ci dicono realmente questi numeri? Se da una parte i dati parlano di una ripresa, allo stesso tempo parlano anche di un problema che sussiste e su cui è necessario intervenire. Prima di tutto rimane un forte gap di genere, con i maschi che sono più soggetti all’abbandono. Ancora, la cittadinanza: se tra i giovani italiani la percentuale si aggira al 9%, tra gli studenti stranieri sale vertiginosamente al 26,8%. Infine, la territorialità, con l’abbandono che è maggiore di circa 7-11 punti percentuali nel Sud e nelle Isole. Numeri, questi, che raccontano di fragilità sociali strutturali che sono alla base della dispersione scolastica, fragilità che hanno una natura sfaccettata e che, spesso si intersecano tra loro. Da una parte abbiamo la dimensione psicologica soggettiva, che gioca un ruolo centrale: le difficoltà cognitive, i problemi di apprendimento, la demotivazione e il conseguente senso di inadeguatezza possono portare lo studente a sentirsi incapace di proseguire il percorso. Ma su questi aspetti, che potremmo definire più personali, incidono anche attitudini e il grado di coinvolgimento emotivo.
Dall’altra parte, poi, i fenomeni socioeconomici: capita infatti spesso che ragazze e ragazzi provenienti da famiglie con situazioni economiche critiche decidano di dedicarsi al lavoro prima del tempo, per apportare sostegno ai genitori e alla famiglia. Ancora, un ulteriore fattore riguarda i cosiddetti “ghetti educativi”, scuole in cui si concentrano studenti provenienti da contesti svantaggiati, dove il livello generale dell’istruzione risente negativamente di queste dinamiche. Dunque, emerge l’urgenza di intervenire sì sull’istruzione, ma anche di intercettare e lavorare in quei contesti in cui le pressioni esterne influenzano il percorso di studi dei giovani. Perché un mondo giusto è un mondo in cui tutti, a prescindere dalle condizioni di partenza, hanno le stesse possibilità e opportunità di realizzazione.