25 Giugno 2025
/ 25.06.2025

Iran: vincono tutti, tranne l’ambiente 

I 12 giorni di conflitto Israele–Iran hanno lasciato tracce profonde. Anche nell’ambiente. Oltre alla tregua, servono valutazioni indipendenti, cooperazione internazionale per la bonifica e un impegno concreto per ridurre l’impatto ecologico dei conflitti futuri. C’è poi la questione degli scienziati uccisi: ne sono stati eliminati 14

Come spesso accade, hanno vinto tutti. Con la tregua tra Israele e Iran che regge, i due Paesi rivendicano i risultati ottenuti nei 12 giorni che hanno ulteriormente infuocato il Medio Oriente. A loro si unisce anche il solito Donald Trump che, non contento delle polemiche sugli effettivi risultati ottenuti durante gli attacchi agli impianti nucleari iraniani, sul social amico Truth ha scritto: “Il raid a Farlow ha messo fine alla guerra, è stata la stessa cosa di Hiroshima e Nagasaki”. 

Gli attacchi ai siti nucleari non solo aggravano la tensione internazionale, ma rischiano di lasciare ferite invisibili ma persistenti al pianeta, colpendo direttamente l’aria, il suolo, le falde acquifere e la salute delle comunità locali.

Radiazioni: timori fondati o esagerati?

La preoccupazione più diffusa è ora quella relativa alla contaminazione radioattiva, simile a quella provocata da una “bomba sporca” – un ordigno convenzionale che disperde materiale radioattivo. Tuttavia, gli esperti tendono a ridimensionare questo rischio.

“Non è come un incidente a un reattore nucleare in funzione”, spiega al Time Simon Middleburgh, professore di Ingegneria Nucleare presso il Nuclear Futures Institute dell’Università di Bangor. “L’arricchimento dell’uranio non comporta fissione nucleare, e quindi la possibilità di rilascio massiccio di radiazioni è molto più bassa”. In altre parole, il pericolo di contaminazione radioattiva su larga scala, pur esistente, è probabilmente geograficamente limitato.

Il fisico nucleare Paddy Regan conferma: “L’uranio-235, anche se arricchito, è poco radioattivo. I 400 kg presenti nei siti iraniani colpiti sarebbero più pericolosi se ti cadessero fisicamente addosso che per le radiazioni che emettono”.

L’invisibile veleno: la tossicità chimica

Se il rischio radiologico diretto appare contenuto, non si può dire lo stesso per quello chimico. Secondo Rafael Mariano Grossi, direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), “la vera preoccupazione è la tossicità chimica”. I processi di arricchimento dell’uranio prevedono l’uso di gas e composti altamente tossici – come l’esafluoruro di uranio – che, se liberati in un’esplosione, possono contaminare aria, suolo e acque nelle zone circostanti, mettendo a rischio sia la popolazione locale che l’ecosistema.

Il caso Bushehr

Ma il vero incubo ambientale si materializzerebbe nel caso di un attacco alla centrale nucleare civile di Bushehr, la prima nel Medio Oriente. “Un colpo diretto a Bushehr potrebbe comportare il rilascio di quantità enormi di radioattività”, ha avvertito Grossi. Anche un danno indiretto – ad esempio alla rete elettrica che alimenta il reattore – potrebbe causare un incidente di fusione del nucleo, costringendo a evacuazioni di massa su un raggio di centinaia di chilometri.

Menti nel mirino

Nel bilancio umano e morale del conflitto tra Israele e Iran, una delle pagine più controverse e meno discusse è l’eliminazione mirata di almeno 14 scienziati iraniani, molti dei quali legati al programma nucleare della Repubblica Islamica. Secondo quanto dichiarato dalle Forze di Difesa Israeliane (Idf), nove degli scienziati sono stati uccisi durante la prima ondata di attacchi aerei del 13 giugno. L’intelligence israeliana ha descritto le vittime come figure chiave, con “decenni di esperienza nello sviluppo di armi nucleari”, includendo fisici, esperti in chimica, materiali ed esplosivi.

Tra i nomi diffusi dai media figurano personalità come Fereydoun Abbasi e Mohammad Mehdi Tehranchi, noti non solo per il loro ruolo scientifico ma anche per incarichi politici all’interno della struttura statale iraniana. Altri scienziati, come Amir Hossein Fakhi, Abdolhamid Minouchehr e Ali Bakouei, sono stati presentati dalla televisione di Stato come “martiri del progresso scientifico”. L’ultimo nome confermato è quello di Mohammad Reza Seddighi Saber, annunciato solo il 24 giugno. Saber è stato ucciso nella casa del padre nella provincia di Gilan, e con lui è morto anche il figlio diciassettenne. Era sopravvissuto a un primo attacco il 13 giugno.

Il bersaglio: il sapere scientifico

Israele ha giustificato gli attacchi sostenendo che gli scienziati eliminati fossero direttamente coinvolti nello sviluppo del programma nucleare militare. Ma secondo osservatori indipendenti, questa strategia può al massimo rallentare il programma iraniano, senza però fermarlo. Il know-how tecnologico, osservano i governi europei, non può essere eliminato con la forza militare, ma solo incanalato attraverso negoziati e accordi multilaterali.

Peraltro, le agenzie di intelligence statunitensi non ritengono che l’Iran stia attivamente cercando di costruire un’arma nucleare, mentre Teheran continua a sostenere che il proprio programma sia a fini civili e scientifici.

Una zona grigia nel diritto internazionale

L’uccisione mirata di scienziati civili – spesso non armati, talvolta in luoghi residenziali – riapre il dibattito sulle norme del diritto internazionale umanitario. In linea generale, queste norme vietano l’uccisione intenzionale di civili. Tuttavia, fanno notare alcuni giuristi, tali protezioni potrebbero non applicarsi qualora le vittime facessero parte formalmente delle forze armate o prendessero parte diretta alle ostilità.

Il problema, tuttavia, rimane complesso e ambiguo. Gli scienziati non sono soldati sul campo, ma agenti della conoscenza. Prendere di mira la loro vita equivale a colpire le fondamenta stesse della ricerca, della scienza e dell’educazione in un Paese – e apre scenari inquietanti per il futuro dei conflitti asimmetrici e delle guerre high-tech.

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