16 Ottobre 2025
/ 16.10.2025

Voci ebraiche contro la propaganda Idf su Gaza: “Non insegnate a disumanizzare”

Esponenti della società civile ebraica contestano l'invito di un militare dell'Idf nelle scuole di Roma e Milano. Una lettera aperta riapre il dibattito interno su guerra, educazione e valori comunitari

Le scuole ebraiche come spazio di formazione o come avamposto bellico? La questione si è materializzata con l’invito ad Adi Karni, soldato delle Israel Defense Forces (Idf), nei licei di Roma e Milano. La reazione di una parte della comunità è stata netta: questo non è educare.

La protesta prende forma

A sollevare la questione è una lettera aperta pubblicata su Ha Keillah, la testata delle comunità ebraiche italiane, e promossa da Laboratorio Ebraico Antirazzista (LƏa) e Mai Indifferenti – Voci ebraiche per la pace. Il documento, indirizzato ai presidenti delle Comunità, all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) e ai dirigenti scolastici, non lascia spazio a fraintendimenti: l’iniziativa viene definita di “nuova e particolare gravità”.

Il nocciolo della critica riguarda la figura scelta per l’incontro. Secondo i firmatari, di Karni circolano video in cui farebbe “esplodere una moschea – un probabile crimine di guerra”. Nelle sue dichiarazioni pubbliche avrebbe descritto Gaza “rasa al suolo” come un luogo dove ha visto “solo odio”, sostenendo inoltre che “l’Islam avanza in Europa”.

Il timore è che dietro la facciata del “ragazzone di 22 anni… coraggioso ma anche simpatico” si nasconda l’importazione della “peggiore educazione israeliana”: quella che insegna a “svalutare o negare l’umanità delle vittime designate”.

“Riteniamo che l’organizzazione di questo evento rappresenti una perversione totale della missione educativa delle scuole delle nostre comunità,” recita la lettera, che chiede le dimissioni immediate degli assessori scolastici e dei responsabili dell’iniziativa.

La proposta alternativa

La lettera non si limita alla denuncia. Avanza una proposta alternativa: invitare nelle scuole i refusenik israeliani, quei giovani che rifiutano l’arruolamento o l’obbedienza agli ordini militari ritenuti immorali, affrontando conseguenze personali e legali pesanti.

La mobilitazione trova eco anche in spazi come “Voce Ebraica Per La Pace”, account Instagram seguito da oltre 80 mila persone, che rappresenta una delle principali voci critiche dell’ebraismo italiano sul conflitto. La pagina pubblica quotidianamente contenuti che documentano la crisi umanitaria a Gaza, raccoglie testimonianze di soldati israeliani pentiti e di attivisti pacifisti, condivide analisi storiche sul colonialismo e grafiche informative che contestano la narrazione ufficiale. Un lavoro di controinformazione che cerca di mantenere viva un’alternativa narrativa all’interno della comunità.

Non si tratta, precisano i firmatari, di una “par condicio amorale”, ma di offrire agli studenti modelli che incarnino “i valori universali di giustizia e dignità umana”. Figure capaci di testimoniare un ebraismo fedele ai propri principi etici anche quando questo comporta scelte dolorose.

I numeri della catastrofe

Per contestare quella che definiscono “affabile propaganda”, la lettera riporta dati sulla crisi umanitaria in corso: decine di migliaia di palestinesi uccisi (oltre l’80% civili secondo stime indipendenti), morti per fame, ostaggi uccisi a volte dal fuoco israeliano.

La testimonianza di Yoni, soldato israeliano intervistato da Haaretz nel settembre 2025, racconta l’uccisione accidentale di due bambini e il trauma che ne è seguito. Una narrazione che squarcia la retorica bellica e mette in luce il costo psicologico ed etico del conflitto, quella che gli psicologi chiamano moral injury.

Un conflitto che torna in superficie

Per chi osserva le dinamiche interne all’ebraismo italiano, questa mobilitazione segna una svolta. Per decenni, l’ala pacifista e dialogante ha rappresentato una componente maggioritaria, almeno tra gli intellettuali. Negli ultimi anni, in un clima di crescente polarizzazione e insicurezza, l’establishment comunitario ha virato verso una difesa più rigida delle politiche israeliane.

Il ritorno in scena dei gruppi per la pace rappresenta il tentativo di rivendicare uno spazio etico autonomo, una voce che rifiuta la falsa alternativa tra amore per Israele e fedeltà ai principi universali di giustizia.

La posta in gioco è alta: definire cosa significhi oggi educare “secondo i valori ebraici”. Se questi valori richiedano lealtà acritica o se non sia proprio il dubbio, il confronto e la responsabilità morale la loro più autentica espressione. Un dibattito che la comunità ebraica italiana non vuole più eludere.

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