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Società

Vogliamo essere un Paese per donne

24.11.2023

In Italia, più della metà delle donne hanno fatto i conti con la violenza di genere. Da una recente ricerca emerge che il 60,3% delle donne lombarde ha ricevuto almeno una forma di violenza nella propria vita. È cultura? Quali sono le azioni da mettere in atto?

La ricerca “Le forme di violenza di genere nella popolazione anziana” del Coordinamento Donne dello SPI Lombardia, presentata in occasione dell’incontro “Violenza contro le donne. Parliamone con gli uomini”, svela l’indole inaccettabile dell’Italia del presente: un Paese in cui imperversa ancora una mentalità maschilista e patriarcale molto radicata e difficile da contrastare. L’indagine, rivolta soprattutto alla popolazione anziana, ha identificato i comportamenti violenti più diffusi. In particolare, sette sono le fattispecie di violenza osservate: pressioni di natura psicologica; offese e critiche; dipendenza economica; comportamenti persecutori; minacce e aggressioni fisiche e sessuali; abbandono e negligenza.

Il 30,5% del campione dichiara di aver subito molestie fisiche e verbali, molte, dopo le denunce, sono state ignorate o inascoltate (24,6%) e altre ancora umiliate di fronte ad altre persone (19%). Inoltre, il 18,9% ammette di essere stata pesantemente insultata, mentre il 17,7% di essersi sentita limitata nei rapporti con amici e famiglia. Si tratta di un problema che ha origini culturali. «Molti uomini mettono in atto comportamenti di violenza, non solo fisica ma anche verbale, psicologica, di cui nemmeno si rendono conto – ha dichiarato Erica Ardenti, Coordinatrice del Coordinamento Donne SPI Lombardia – . Per questo, se vogliamo avviare quella profonda “rivoluzione culturale” di cui sempre più parliamo, dobbiamo cominciare da una discussione con gli uomini per lo meno nel mondo degli adulti. Con i più giovani si tratta invece di mettere in atto pratiche educative innovative».

Questa è l’arma più efficace per abbattere i pregiudizi che ancora oggi alimentano i modelli stereotipati relativi alla suddivisione dei ruoli di genere che l’atteggiamento stesso verso i comportamenti violenti. Per il 48% dei lombardi, infatti, le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono ad evitarlo (a fronte di un 50% del dato nazionale). Il 13% degli intervistati, invece, sostiene che gli uomini sono meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche (contro il 15% del dato nazionale).

Cosa fare quindi per garantire alle bambine di oggi un futuro migliore?
Una suggestione costruttiva arriva da un uomo, Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista, da tempo impegnato attivamente sui tempi del rispetto e della parità di genere. «Bisogna lavorare su due fronti diversi – ha detto – Il primo consiste nel lavorare su una cultura di genere più corretta, saperla affrontare nel quotidiano Il secondo è produrre formazione su questi argomenti, cambiare le abitudini, i propri gesti. Diventare più sensibili e intercettare. Come si fa a rendersene conto? Ascoltare chi ne subisce. Stare più in silenzio, fare tesoro delle esperienze altrui per sentirsi responsabili. La sensazione di esagerazione è un condizionamento che abbiamo subito. Quando giudichiamo un comportamento estremo, dobbiamo chiederci chi ha deciso che ciò è estremo, e cambiare approccio».

Tre sono quindi le azioni prioritarie da mettere in atto: in primo luogo avviare percorsi di sensibilizzazione contro la violenza di genere fin dalle scuole dell’obbligo; favorire l’emancipazione economica e sociale delle donne sostenendole nei percorsi formativi nell’accesso al mondo del lavoro; potenziare le misure di prevenzione e irrigidire le pene contro chi commette violenza sulle donne.

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