Nel Caucaso Meridionale l’insieme delle superfici coperte da ghiaccio e neve (la criosfera) arretra a una velocità che non ha equivalenti se non in pochissime altre regioni del Pianeta. Il nuovo policy brief del Programma Adaptation at Altitude dell’Unep, “Melting Heritage: Adapting to a Changing Snow and Ice Cover in the South Caucasus“, conferma che l’area registra il secondo tasso più elevato al mondo di perdita di massa glaciale rispetto al volume complessivo.
Una criosfera in rapido declino
Tra il 2000 e il 2020, la superficie occupata dai ghiacciai si è infatti ridotta di oltre il 23%, con variazioni marcate da Paese a Paese: in Azerbaijan la diminuzione raggiunge il 77%, in Georgia il 24%. L’Armenia, priva di copertura glaciale, osserva comunque un mutamento della neve stagionale, che oggi dura undici giorni in meno e mostra una profondità media ridotta di tre centimetri.
La risposta dei ghiacciai del Caucaso all’aumento delle temperature è superiore alla media globale. Secondo le analisi presentate, mantenere il riscaldamento entro i +1,5 °C consentirebbe di preservare circa il 40% della massa glaciale. Un incremento di +3 °C, invece, porterebbe quasi alla deglaciazione totale. Gli attuali impegni internazionali collocano il Pianeta lungo una traiettoria compresa tra +2,3 °C e +2,5 °C: uno scenario che avvicina la regione alla possibilità concreta di perdere la maggior parte dei propri ghiacciai entro il 2100.
Risorse idriche e territori sempre più esposti
Il ritiro della criosfera modifica la dinamica idrologica del Caucaso, da cui dipendono approvvigionamento idrico, agricoltura e anche energia. La riduzione del manto nevoso e dei ghiacciai sta alterando i flussi stagionali dei fiumi e aumentando la pressione sulle risorse sotterranee. E intanto, dal 2000, i prelievi di acque sotterranee sono cresciuti del 25% in Georgia, raddoppiati in Armenia e quasi quadruplicati in Azerbaijan. L’avvicinarsi del cosiddetto peak water — il momento in cui il contributo glaciale al deflusso fluviale inizierà a diminuire — rappresenta una soglia critica per la sicurezza idrica regionale. Anche l’energia idroelettrica è esposta: in Georgia copre oltre l’80% della produzione nazionale e impianti come la centrale di Enguri dipendono direttamente dal deflusso alimentato dai ghiacciai.
La destabilizzazione dei versanti, causata dal ritiro glaciale e dal degrado del permafrost, amplifica rischi naturali come frane, cadute di massi, valanghe di ghiaccio e Gflos (inondazioni da laghi glaciali). L’episodio del 2023 a Shovi, in Georgia, dove una valanga di roccia e ghiaccio provocò un flusso di detriti letale, evidenzia quanto i territori siano già vulnerabili.
A fronte di questi cambiamenti, il monitoraggio della criosfera resta insufficiente. Mancano sistemi regionali per osservare permafrost e laghi glaciali, mentre l’accesso ai dati ambientali — inclusi quelli su neve e ghiaccio — resta limitato in Armenia, Azerbaijan e Georgia, nonostante gli impegni presi a livello internazionale. Il policy brief, frutto del Regional Adaptation Dialogue in the South Caucasus (Rafisc), raccomanda di integrare la componente neve-ghiaccio nei Piani nazionali di adattamento climatico e di costruire una rete di monitoraggio coerente, combinando osservazioni in situ e satellitari.
Un patrimonio glaciale che si dissolve così rapidamente richiede misure tecniche e, soprattutto, impone risposte capaci di tenere insieme ecologia, sicurezza e accesso alle risorse, prima che il punto di non ritorno venga raggiunto.
