30 Dicembre 2025
/ 30.12.2025

2026, il tandem Russia–Cina sarà guidato da Pechino

Per Mosca, Pechino è diventata un partner vitale. Per Pechino, Mosca è un fornitore importante ma non insostituibile. In Siberia la pressione diventa strutturale: da una parte risorse naturali, spazio e carenza di manodopera; dall’altra popolazione, capitale e domanda industriale

Si potrebbe dire follow the energy per capire come si sposteranno gli equilibri a Est dell’Europa in questo 2026 che si apre. Seguire i flussi dell’energia, e dei materiali chiave della twin transition, per prendere le misure dell’alleanza che si è andata stringendo tra Russia e Cina.

Prima del 2022 oltre il 40% del gas russo era diretto verso l’Unione europea, con contratti di lungo periodo e prezzi mediamente più alti di quelli attuali. Dopo l’aggressione all’Ucraina quel canale si è chiuso e la Russia ha dovuto ricostruire in fretta la mappa degli interessi commerciali. L’ha fatto guardando quasi esclusivamente a Est.

Nel 2024 il commercio bilaterale tra Russia e Cina ha raggiunto quota 237 miliardi di dollari. Un dato che segna una svolta storica, ma che va letto insieme a un altro numero chiave: oggi oltre il 30% delle esportazioni russe è diretto verso la Cina, mentre la Russia rappresenta solo il 3–5% del commercio estero complessivo cinese.

Questo è il cuore dello squilibrio. Per Mosca, Pechino è diventata un partner vitale. Per Pechino, Mosca è un fornitore importante ma non insostituibile. Il rallentamento registrato nel 2025 – con un calo degli scambi attorno al 9% su base annua nei primi dieci mesi – non cambia la struttura del rapporto: la dipendenza economica russa resta intatta.

Gas e petrolio: la timeline di una dipendenza

È sull’energia che l’intreccio si fa più evidente. Nel 2023 le esportazioni di gas attraverso il gasdotto Power of Siberia hanno superato i 20 miliardi di metri cubi. Nel 2024 hanno continuato a crescere. E nel 2025 la compagnia statale russa Gazprom ha pompato circa 38,8 miliardi di metri cubi di gas naturale verso la Cina, superando addirittura la capacità contrattuale annuale di 38 miliardi e segnando un incremento di quasi il 20% rispetto al 2024. Sul petrolio, il percorso è stato simile: nel giro di tre anni la Cina è diventata il principale sbocco del greggio russo, assorbendo quasi la metà delle esportazioni, oltre 2,3 milioni di barili al giorno tra pipeline e rotte marittime.

Le forniture russe verso la Cina avvengono a condizioni nettamente meno favorevoli rispetto al passato europeo, con ricavi medi stimati dal 30 al 40% più bassi per unità di energia. I volumi crescono, i margini si assottigliano. La Russia vende molto, ma incassa, in proporzione,meno.

Questo rapporto di forza diventa evidente in Siberia. Un territorio immenso, abitato da 36–37 milioni di persone, circa un quarto della popolazione russa, a fronte di dimensioni paragonabili a quelle di un continente. Appena oltre il confine, nelle province cinesi della Manciuria e del Nord-Est, vivono circa 90 milioni di persone. È una pressione strutturale: da una parte risorse naturali, spazio e carenza di manodopera; dall’altra popolazione, capitale e domanda industriale.

I cittadini cinesi presenti oggi in Siberia sono sempre più numerosi: lavorano nei cantieri infrastrutturali, nelle attività minerarie, nella logistica, nell’agricoltura su larga scala e nei servizi legati allo sfruttamento delle risorse. Sono lì dove passano gasdotti, oleodotti, ferrovie e corridoi energetici.

La decisione russa di introdurre, tra fine 2025 e 2026, l’esenzione dal visto per i cittadini cinesi con passaporto ordinario per soggiorni brevi va letta anche in questa chiave: facilitare scambi, affari, presenza economica in regioni sempre più orientate verso la Cina.

A questo quadro si aggiunge un altro tassello, meno visibile ma politicamente significativo: la concessione in affitto di vaste aree agricole e forestali siberiane a operatori cinesi. Negli ultimi anni, soprattutto nell’Estremo Oriente russo, migliaia di ettari di terra sono stati dati in locazione a lungo termine a imprese della Cina per coltivazioni intensive, allevamenti e sfruttamento delle risorse forestali. Formalmente si tratta di accordi commerciali, non di cessioni di sovranità. Sostanzialmente, però, la Russia mette a disposizione territorio e risorse, mentre capitale, organizzazione e filiere di sbocco restano in mano cinese.

È un modello che risponde a un’esigenza immediata di Mosca – attirare investimenti in regioni spopolate – ma che rafforza ulteriormente la dipendenza strutturale: la Siberia diventa sempre più uno spazio produttivo agganciato all’economia cinese, più che una leva autonoma di sviluppo russo. Un processo coerente con l’intera traiettoria dell’asse Mosca-Pechino: più integrazione, meno margine negoziale.

Power of Siberia 2

Ora Gazprom e altre società energetiche russe stanno spingendo anche per Power of Siberia 2, un gasdotto che era stato pensato per portare altre decine di miliardi di metri cubi verso il mercato cinese. Ma il contesto è cambiato: la Russia non ha più alternative comparabili sul tavolo. Questo significa che ogni nuova infrastruttura consolida l’export, ma riduce ulteriormente il potere contrattuale di Mosca. Una volta realizzata la struttura, i flussi non si spostano facilmente.

Secondo analisi interne ed esterne, tra cui quelle dell’ex consigliera della Banca centrale russa Alexandra Prokopenko, la Russia rischia entro uno-due anni una crisi strutturale: crescita debole, investimenti insufficienti, dipendenza tecnologica e fiscale sempre più marcata.

Il 2026 diventa così un anno di passaggio. L’alleanza con la Cina non è in discussione, ma il suo costo in termini di autonomia emerge con chiarezza. Mosca ha bisogno di Pechino per vendere gas e petrolio, con esportazioni destinate a crescere ancora. Pechino, invece, può diversificare fornitori, negoziare prezzi, usare l’energia come leva geopolitica.

In questo quadro, reso più complesso dai continui attacchi di Trump che hanno fatto venir meno la sponda atlantica, l’Europa deve decidere quale parte giocare. Ha tre direttrici che collegate diventerebbero una forza. Una strategia commerciale a tutto campo, puntando anche sui mercati del Mercosur e dell’Asean. Una strategia tecnologica basata sull’innovazione della twin transition. Una strategia sociale mirata a dare attualità al welfare integrandolo nella rivoluzione ambientale e digitale per dare stabilità e appeal al continente. Gli strumenti tecnologici per raggiungere questi obiettivici sono, quelli politici ancora no.

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