15.05.2024
Sfruttare l’energia solare per cucinare lo sapevano fare pure i nostri antenati. Ci ha pensato la Fattoria Didattica dei Conti a Senigallia, con l’aiuto di un portoghese specializzato nella cottura solare. Interviene la scienza.
Che il Sole rappresenti per la Terra una delle principali chiavi della vita non è certo un mistero, grazie all’energia sprigionata dalle sue radiazioni (e dalla sua luce). Che questa energia fosse da sola sufficiente addirittura a cucinare pietanze e interi pasti è però qualcosa di certamente meno noto. Tuttavia, questa possibilità esiste, e nel mese di aprile è stata sfruttata per un vero e proprio picnic, completamente italiano e sul cui funzionamento si è pronunciata la scienza.
Luogo designato per il pasto a base di alimenti cucinati con la sola luce solare è stata Senigallia, per la precisione la Fattoria Didattica dei Conti. Qui l’Università Politecnica delle Marche ha ospitato Celestino Ruivo, professore dell’Università portoghese dell’Algarve specializzato in cottura solare. La scelta dell’ateneo anconetano nasce dal fatto che lì sono operativi il professor Giovanni Di Nicola e un gruppo di ricercatori che stanno sperimentando nuovi modelli di forni solari e tecniche per migliorarli grazie a materiali specificamente studiati per conservare il calore (i Phase Change Materials, o PCM).
Sempre per l’Università Politecnica delle Marche lavora Nicola Ulivieri, Dottore di Ricerca in Ingegneria dell’Informazione dalla lunga esperienza nel settore Ricerca e Sviluppo. Coinvolto nel progetto dei forni solari sin dal lontano 2012, è anche autore di un saggio-manuale (“Cucinare con il Sole”) in cui illustra il funzionamento di questa tecnica tanto efficace quanto ecologica ed ecosostenibile. Eppure, è estremamente semplice e, come vedremo, di origine antica.
Il professor Ulivieri spiega che la cottura solare deriva dallo sfruttamento della concentrazione dei raggi solari unita all’effetto serra. I raggi del Sole, in particolare, sono in grado di trasferire «una quantità di energia che può tradursi in una potenza (massima) istantanea di 1 kW per m²». L’idea è utilizzare specchi che concentrino questa mole di energia in un recipiente nero, dove la luce si converte nel calore necessario per scaldare e quindi cuocere le pietanze.
«Questo principio era utilizzato già migliaia di anni fa, come per gli specchi ustori di Archimede o per accendere la Fiamma Olimpica – ha ricordato Ulivieri. Oggi possiamo sfruttarlo non più per incendiare qualcosa, ma per cucinare. E, aspetto importante, ciò avviene senza produrre fiamme libere e quindi in maniera più sicura rispetto ai metodi tradizionali. In più non si disperdono CO2 e altre sostanze inquinanti. Infine è un sistema di cottura del tutto gratuito».
Infine lo sfruttamento dell’effetto serra, che siamo abituati a concepire come una conseguenza drammatica dell’inquinamento sul Pianeta ma che secoli fa era un semplice fenomeno naturale. «Horace-Bénédict de Saussure lo utilizzò già nel 1767, costruendo il primo forno solare conosciuto. Era una scatola coperta da vetri, perché il vetro permette al calore di penetrare e la chiusura del recipiente ne impedisce la dispersione. L’efficienza, rispetto all’energia disponibile dai raggi del Sole, è altissima e può addirittura superare il 60%», ha concluso Ulivieri.