24.05.2024
L’Europa è riuscita a portare a termine la riduzione delle emissioni di CO2 con conseguenze faticose per l’industria. Nonostante l’impegno preso di “controllare rigorosamente” la nuova energia a carbone, la Cina è riuscita a quadruplicare le proprie centrali tra il 2022 e il 2023, rispetto al 2019.
Negli ultimi decenni, l’Unione europea ha compiuto significativi sforzi per ridurre le emissioni di CO2 fossile, registrando una riduzione del 27,5% dal 1990 al 2021. Un trend, questo, che ha subìto una battuta d’arresto nel 2021, con un aumento del 6,5%, dovuto principalmente alla ripresa economica post-pandemia, ma che non ha rappresentato uno stop nel lungo termine in quanto le emissioni di quell’anno sono rimaste comunque inferiori del 5% rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019.
L’Europa da sola, però, non può fare la differenza. In quest’ottica, secondo il report CO2 emission of all World countries uno dei Paesi che viaggia in forte controtendenza è la Cina, con un incremento del 4,3% nel 2021 rispetto al 2020 e del 5,9% rispetto al 2019, raggiungendo 12,5 gigatonnellate (GT) prodotte. In particolare, se l’Europa ha registrato una riduzione dell’oltre 27% rispetto all’inizio del decennio scorso, lo stesso non si può dire per il Paese asiatico: le sue emissioni nel 2021 sono state 5 volte superiori a quelle del 1990 e rappresentavano ben il 32,9% delle emissioni globali.
E che la Cina sia lontana dai suoi obiettivi climatici lo conferma anche il report Crea di Global Energy Monitor, che sottolinea come il Paese abbia aumentato gli investimenti nell’energia a carbone: in particolare, sono stati approvati almeno 106 gigawatt (GW) di capacità di energia da carbone e si è avviata la costruzione di 70 GW nel 2023, accelerando ulteriormente il ritmo di autorizzazioni visto nel 2022.
Dunque, a conti fatti, nonostante l’impegno del 2021 di “controllare rigorosamente” la nuova energia a carbone, le nuove centrali sono quadruplicate tra il 2022 e il 2023 rispetto al periodo di 5 anni precedente (2016-2020). E questo aumento nell’impego del carbone mette in seria discussione la capacità della Cina di rispettare i propri impegni climatici, come per esempio gli obiettivi stabiliti con l’Accordo di Parigi, che includono il limitare rigorosamente la crescita del consumo di carbone, ridurre l’intensità energetica e diminuire l’intensità di carbonio. Oltre ai piani quinquennali, che fissano target di aumento della quota di combustibili non fossili al 20% del mix energetico e di derivare oltre il 50% dell’aumento del consumo energetico da fonti rinnovabili
D’altra parte, nel 2023 il Paese ha visto un aumento considerevole nella diffusione dell’energia pulita, e se si vogliono raggiungere gli obiettivi climatici fissati per il 2025 il ritmo deve mantenersi accelerato, bisogna riportare la crescita della domanda di energia ai livelli pre-Covid e rivedere i permessi per nuove centrali a carbone. Dunque, non tutto è perduto, ma per salvare il pianeta servono sforzi congiunti, e nessuno può tirarsi indietro. Nemmeno la Cina.