05.07.2024
In un mondo in cui vivono più persone di quante il mare possa sfamarne essere direttrice di Federpesca (Federazione Nazionale delle Imprese di Pesca) è una vera sfida. Per sopravvivere la bussola del comparto ittico deve puntare in una sola direzione: sostenibilità.
Attività sostenibile e in linea con la normativa comunitaria, ricambio generazionale e della flotta peschereccia, partecipazione alla pulizia dei fondali. Federpesca, che dal 1961 rappresenta e tutela gli armatori della pesca italiana e le imprese della filiera ittica, vive un intenso momento di sfida.
La Federazione Nazionale delle Imprese di Pesca sta giocando una partita che non può perdere: come avvicinare le nuove generazioni a uno tra i mestieri più antichi e faticosi dell’umanità? «Siamo convinti che le nuove tecnologie potranno aiutare a ridurre e semplificare i costi di produzione – dice Francesca Biondo, direttrice di Federpesca –. Intanto sta crescendo l’acquacoltura, un ambito non in competizione con la pesca marina che da sola non riesce a soddisfare il fabbisogno degli italiani: siamo il secondo Paese in Europa, consumiamo 29 kg di pesce all’anno pro capite».
Come il settore della pesca può combattere il problema dei rifiuti marini e contribuire alla protezione dei mari, alla conservazione delle aree marine protette?
Negli ultimi dieci anni è cresciuta la sensibilità degli operatori della pesca sul tema dell’inquinamento marino e del recupero dei rifiuti dal mare. Anche grazie ai contributi del Fondo Europeo di Pesca Marittima abbiamo promosso in numerose marinerie italiane progetti di recupero e smaltimento dei rifiuti. Ad esempio, attraverso la pesca a strascico si raccolgono ingenti quantità di rifiuti, soprattutto di materie plastiche. Abbiamo inoltre sottoscritto dei protocolli d’intensa con le aziende che raccolgono i rifiuti nei porti: in questo modo i nostri operatori, che trovano della spazzatura in mare, possono depositarla in appositi sacchi e consegnarli alle realtà di riferimento del porto.
Sono stati fatti diversi passi avanti, mi sembra.
Sì, e sono tutti fondamentali. La Legge SalvaMare ha finalmente riconosciuto il ruolo fondamentale dei pescatori nel prevenire l’inquinamento marino e nel pulire i fondali. Mentre venivano considerati produttori e responsabili dei rifiuti che raccoglievano dal mare. Un paradosso che non aveva senso di esistere. È come se una persona venisse multata per aver raccolto da terra un mozzicone di sigaretta gettato incivilmente da un’altra persona.
Prevenzione all’inquinamento marino: quali sono i progetti attraverso cui Federpesca mette in comunicazione imprese e cittadini?
A partire da settembre 2022, per un periodo di cinque anni, Federpesca è parte del progetto “Life Dream, che vede il CNR come ente capofila. Finanziato dal programma europeo LIFE, l’iniziativa mira a restaurare le scogliere marine profonde e a contrastare la problematica dei rifiuti marini nel Mar Mediterraneo. La cosa interessante è che il CNR proverà a produrre un carburante proveniente dall’utilizzo delle plastiche raccolte in mare.
È possibile una pesca sostenibile?
Si attribuiscono alla pesca molte delle responsabilità sulla cattiva salute del mare. Ovviamente la pesca ha un impatto però le imprese che rappresentiamo sono professionali, utilizzano attrezzi idonei e rispettano le normative in base all’area in cui operano. Sono attente a non intaccare i fondali, le zone protette e quelle archeologiche. Il tema della sostenibilità deve essere declinato in tutti gli aspetti, non solo ambientale, ma anche sociale ed economico. In Italia sono in attività 12.000 imprese della filiera ittica che accolgono 25.000 lavoratori. Eliminare l’industria della pesca vorrebbe dire dipendere totalmente dalle importazioni estere, provenienti da realtà che non sono tenute a rispettare gli standard previsti dall’UE. Se così fosse, verrebbero vanificati tutti gli sforzi fatti dai nostri operatori per garantire un prodotto di alta qualità attraverso una pesca sostenibile.