13.07.2024
Uno degli aspetti negativi dell’evoluzione sociale è quello di vivere soli con tutto quello che porta di conseguenze negative sulla nostra salute mentale. Oggi si scopre che la solitudine altera il nostro rapporto con il sonno profondo che è essenziale per affrontare i ritmi della contemporaneità.
Una delle piaghe della nostra società è costituita dalla solitudine, aumentata in maniera importante dall’esplosione dei social network, ma diventata un vero e proprio fenomeno degno di studi sociologici dopo l’epoca del Covid e dei conseguenti lockdown. Che attanagli sempre più persone (inclusi i giovani) è noto da tempo, che abbia conseguenze anche serie sull’umore e la salute mentale pure. I suoi effetti sulla salute in senso più ampio, invece, sono ancora abbastanza da esplorare. Ma nel frattempo una ricerca ne ha tracciato il rapporto con il ritmo del sonno.
La University of Wisconsin di Milwaukee ha deciso di affrontare l’argomento in uno studio dettagliato, cui la rivista Sleep Health ha deciso di dare spazio. I ricercatori hanno dimostrato come la solitudine impatti significativamente e in modalità diverse sulla qualità del sonno. Da un lato, infatti, è responsabile di una durata inferiore delle ore di riposo rispetto alla media delle persone non sole. Dall’altro prolunga anche il tempo necessario ad assopirsi.
I ricercatori del Wisconsin hanno deciso di monitorare diverse decine di studenti universitari, tutti giovani adulti che vivono da soli. Nell’arco di due settimane ognuno di loro è stato chiamato a fornire dati sulla qualità del proprio sonno, tramite l’utilizzo di avanzati dispositivi di “actigrafia”. Si tratta di strumenti che monitorano qualità e durata del sonno, sfruttando il controllo dei naturali movimenti del corpo. A integrazione di questi dati, i diretti interessati hanno dovuto raccontare la loro «percezione della solitudine» nello stesso lasso di tempo. Ossia esporre non solo se abbiano trascorso quei giorni senza vedere nessuno, ma anche quanto ciò abbia condizionato il loro umore.
Ebbene, i risultati hanno provato una correlazione tra i due fenomeni. Chi nell’arco delle ore diurne ha presentato i punteggi più alti di solitudine, ha generalmente dormito meno e peggio rispetto a chi non ha sofferto del problema: la loro media ha superato a malapena le sei ore e mezzo per notte. Il loro sonno è risultato inoltre più accidentato, e come conseguenza ha provocato uno stato di maggiore stanchezza l’indomani mattina.
Risultati analoghi riguardano il tempo necessario ad addormentarsi: di fronte a punteggi di solitudine elevati, la media dei minuti necessari a prendere sonno dopo essersi coricati è risultata superiore ai 22 minuti e mezzo. E, anche in questo caso, i livelli di stanchezza del giorno successivo risultavano decisamente più sostenuti.
Kayla Johnson, coordinatrice dello studio, ha sottolineato: «La solitudine è un problema che riguarda milioni di giovani in tutto il mondo. Il suo rapporto con il sonno esiste, ma è cruciale approfondirlo tramite ulteriori ricerche. Solo così si potrà lavorare concretamente su interventi che aiutino i giovani adulti a dormire meglio». Tra essi figurano ovviamente programmi di supporto psicologico e che favoriscano la socialità. Per i diretti interessati, invece, il consiglio è sempre quello di crearsi una routine serale che abbatta il più possibile i fattori di stress.