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Telegram, la stravolgente filosofia di Durov

28.08.2024

Nato a San Pietroburgo e vissuto a Torino, dove suo padre insegnava filologia, Pavel Durov viene arrestato in Francia dopo l’atterraggio con il jet privato. La sua visione stenuante del concetto di privacy ha prodotto un social che dà rifugio a criminali di ogni genere. Il caso fa interrogare il mondo sulla contemporaneità di alcune convinzioni.

Non è solo una questione di giustizia internazionale, ma anche un arresto che entra pesantemente nel dibattito su quale sia il limite della libertà quando si parla del mondo digitale. Il caso di Pavel Durov, fondatore e CEO di Telegram, atterrato col suo jet privato in Francia dove era ricercato, e dunque subito incarcerato, è un vero mistero. Amico di tutti e nemico di tanti, è accusato di aver dato voce sul suo social a criminali, pedofili, terroristi, spacciatori e tante altre menti oscure del mondo che possono sulla piattaforma avere garantita la massima privacy. E qui sta il punto: fino a dove è lecito difendere strenuamente la sicurezza personale a scapito di quella comune? La risposta non è semplice. Ed è anche un punto di domanda che la libertà possa essere in mano a un miliardario russo apolide da oltre un decennio, attualmente residente a Dubai. Durov, con un patrimonio di 15 miliardi di dollari e nessuna proprietà, è noto per la sua filosofia minimalista: «quello che possiedi ti possiede», ama dire. E allora ecco che la sua app di messaggistica, che conta un miliardo di utenti ed è valutata 30 miliardi di dollari, lascia tutto in mano di chi la frequenta, grazie alla sua rigorosa politica di riservatezza.

Nato a San Pietroburgo, Durov ha 39 anni e parla perfettamente italiano, visto che ha trascorso parte della sua giovinezza a Torino, dove suo padre insegnava filologia. Durante gli studi universitari, insieme a suo fratello Nicolaj, ha fondato VKontakte, una sorta di Facebook russo. E sin dall’inizio, ha resistito alle pressioni del Cremlino, rifiutandosi di condividere i dati degli utenti ucraini durante la Rivoluzione Arancione del 2014 e l’invasione della Crimea. Dopo aver venduto VKontakte a imprenditori più vicini al governo, Durov ha lasciato il Paese con 300 milioni di dollari intasca, cominciando a girare il mondo grazie a diversi passaporti: oltre a quello russo anche quello francese, appunto, e poi degli Emirati Arabi e di Saint Kitt’s and Nevis. Non è un oppositore di Putin dichiarato, eppure mantiene relazioni diplomatiche con vari Paesi che sono contro lo zar. Ed anche con diverse intelligence mondiali, che in alcune occasioni sono riuscite a consultare il database di Telegram.

Resta comunque il mistero sul perché si sia recato in Francia, dove lo aspettavano con le manette pronte, anche se si dice lo abbia fatto per evitare una sorte peggiore in Russia. Di sicuro l’episodio ha fatto divampare il dibattito sulla privacy digitale: Telegram ha dichiarato di rispettare le leggi europee sottolineando che è irragionevole incolpare la piattaforma o il suo fondatore per l’uso illecito da parte degli utenti. Ma sullo sfondo della vicenda c’è la battaglia per la sicurezza mondiale: Durov non è americano, così come non lo è Tik Tok. E questo fa pensare che dietro alla difesa della privacy si giochi qualcosa di più grande in un mondo sempre più diviso tra due poli opposti. Perché poi, se davvero alla libertà personale si dovrà mettere un limite, chi può decidere quale sia?

Credito fotografico: Dalla pagina Facebook di Pavel Durov

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