06.09.2024
Il “game-based learning” è un innovativo approccio didattico che usa il gioco come potenziale strumento di apprendimento: l’esperienza del videogioco “Matematica Superpiatta” raccontata dal suo ideatore, il Prof. Leonardo Guidoni, docente di Chimica fisica dell’Università dell’Aquila.
Partiamo dall’inizio. Com’è nato il progetto?
«È iniziato un po’ per gioco. Io sono docente in scienze chimiche ma ho sempre avuto una passione per la matematica. Sei, sette anni fa, guardando i miei figli giocare ai videogiochi, a Minecraft in particolare, mi è venuto in mente di implementare qualche gioco legato all’apprendimento della matematica. L’ho fatto provare al più piccolo dei miei figli, che frequentava una primaria e ho visto che gli piaceva. Così la proposta è passata alla sua docente e alla scuola. Abbiamo fatto anche diverse attività legate all’Università dell’Aquila e alla Sapienza di Roma e questo ha permesso di allargare il progetto: da un videogioco è diventato qualcosa di più. Il videogioco ingaggia i ragazzi, li coinvolge, parla il loro stesso linguaggio ed è questa la cosa importante, perché è sempre una questione di comunicazione. È un linguaggio a cui noi adulti non siamo abituati».
Qual è l’obiettivo del videogioco?
«È una proposta di apprendimento a supporto dell’insegnamento tradizionale. Con le collaborazioni universitarie abbiamo messo a punto una vera e propria metodologia didattica, che l’insegnante può utilizzare per fare in modo che il gioco sia una vera opportunità di apprendimento. Il rischio è sempre quello di avere delle belle parentesi di gioco e divertimento, le quali però, se lo studente non è consapevole di quello che ha imparato, non sono efficaci. E la comunicazione è fondamentale in questo, è un gioco, ma in realtà è matematica. Ci sono delle schede che fanno riflettere i ragazzi su quello che hanno imparato e poi sono previsti dei momenti di confronto e discussione in cui parlare delle strategie usate. La proposta è piaciuta e abbiamo fondato una Start up. Oggi lavoriamo circa con 40 scuole, sono classi primarie e secondarie di primo grado».
È prevista una parte di formazione?
«Assolutamente sì. Il videogioco non è una soluzione se non c’è una parte di formazione per gli insegnanti, perché devono poter capire come presentarlo e qual è il percorso da far fare ai ragazzi prima, durante e dopo il gioco».
Perché il videogioco ha questo nome?
«A noi questo nome non dice nulla, ma se chiediamo a un ragazzo, sicuramente nel 50% dei casi lui capisce a cosa fa riferimento il “superpiatto”, perché è legato all’immaginario di Minecraft: è uno dei mondi presenti in questo gioco».
In Italia ci sono altre realtà come la vostra?
«Sì, ci sono alcune realtà simili. La nostra caratteristica è di essere molto vicini alla parte educativa. Spesso queste proposte hanno due possibilità: o somigliano troppo ai videogiochi e rischiano di non avere nulla di educativo, o sono troppo legati all’insegnamento e si perde la parte del gioco. La nostra proposta sta in mezzo».
Ci sono delle difficoltà o dei cambiamenti durante lo sviluppo del gioco?
«Ci sono state delle difficoltà soprattutto nell’adattare il gioco alle diverse età. Prima del rilascio, lo abbiamo sperimentato in diverse classi e abbiamo ricevuto i feedback degli alunni: alcuni ci hanno suggerito dei miglioramenti oppure ci hanno proposto di renderlo più difficile».
Avete dei progetti per il futuro?
«Speriamo di portarlo in tante scuole d’Italia e ci stiamo riuscendo. Vogliamo rimanere sempre al passo con i tempi, quindi proporremo delle versioni aggiornate del gioco. Ci concentreremo ancora sulla matematica perché vogliamo coprire tutte le aree, ad esempio la geometria».