28.10.2024
“Abbiamo una civiltà editoriale più sviluppata delle istituzioni”, afferma lo scrittore ex direttore del Salone del Libro di Torino, direttamente dalla 76esima edizione della più grande fiera dell’editoria a livello mondiale, dove l’arch. Stefano Boeri ha riservato per il Bel Paese uno stand ovale di 2300 mq, richiamando i nostri centri storici.
Un labirinto: 4.000 espositori, 1.000 autori e 650 eventi. Il filo d’Arianna che ha guidato i visitatori nell’elefantiasi di presentazioni e dibattiti sull’attualità a Frankfurter Buchmesse, la più grande Fiera dell’editoria a livello mondiale, è stato forse Radici nel futuro, il motto scelto dall’Italia, in qualità d’ospite d’onore della 76esima edizione (dopo l’ultima volta nel 1988). Uno stand di 2300 mq: nell’atmosfera ovatta (e forse un po’ buia) dell’architetto Stefano Boeri, sotto un cielo di stelline e circondata da colonne, la piazza italiana si è aperta quale simbolo identitario e spazio d’incontro nonché principio generatore di progetti e scambi.
Un’allegoria legata alla struttura dei nostri centri storici, diventata passe-partout per chi desiderava sfogliare i libri, intrattenersi con gli autori, partecipare a conferenze tematiche, nel solco di un passato glorioso (forse troppo autocelebrativo?) e di un futuro (in verità, irrintracciabile), con, pure, quegli affreschi (originali) di Pompei disinvoltamente in bella mostra senza vetri protettivi. Ben 131 gli espositori italiani (su 230) tra case editrici, agenti letterari e aziende annesse, sospinti dall’azione propulsiva dell’Ice – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane – e dell’Associazione Italiana Editori (Aie). Con in più, l’immancabile scia di polemiche legata alla mancata partecipazione (eufemismo: non sono stati invitati) di scrittori come Sandro Veronesi, Antonio Scurati e Roberto Saviano (presenti, in ogni caso, in altri spazi), che forse ha contraddetto il gesto simbolico di convivialità e accoglienza del monumento il “Guanto” di Alessandro Mendini, posto al centro del padiglione. Né è bastato il discorso ermetico-levantino del neo Ministro della Cultura Alessandro Giuli, «Siamo qui per riaffermare la centralità del pensiero solare che si discioglie nella luce meridiana dello spirito mediterraneo», a fugare dubbi sull’effettiva volontà di incarnare lo spirito dell’intera Buchmesse 2024 («Leggi, rifletti, confrontati») e sul ruolo della letteratura nella difesa della libertà in regime di democrazia, a dispetto della volontà (da attuare, please) dello stesso ministro di tutelare ogni forma di opposizione («Il dissenso è sacrosanto, anche se è contro il governo»). Nicola Lagioia, scrittore, già direttore del Salone del Libro di Torino, è stato perentorio: «Abbiamo una civiltà editoriale più sviluppata delle istituzioni che dovrebbero sostenerla». Nessuna politica assistenziale, s’intende, ma appare ineludibile tutelare la filiera del libro e le case editrici già detentrici di competenze tecniche, culturali, economiche virtuose. Il panorama editoriale in crescita quattro volte in più rispetto al 1988 (dati AIE, 2023: 112 mln di copie di libri a stampa, 10 mln di download e di e-book), con l’incremento di 13 mln di copie comprate rispetto al 2019, cela l’esigenza ineliminabile d’intercettare nuove fasce di pubblico e bisogni di lettura. Perchè dietro questa forza si nascondono fragilità da affrontate secondo una logica di sistema, come paventato da Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Aie.
E, nonostante il pensiero di Antoine Gallimard («La Buchmesse, era un villaggio, ora è solo business»), si fa strada il pensiero del fisico Carlo Rovelli: «I grandi libri (plurale) hanno creato la civiltà (singolare). Se questo è il tempio delle idee, dovrebbe essere il tempio dell’intelligenza, necessaria per riconoscere le differenze e che l’umanità è un’unica tribù, al fine di costruire una comunità globale condivisa». Ripartiamo dalla Buchmesse: il tema dell’impegno civile dello scrittore è stato centrale. Ma ora serve una politica del libro. E nuove sensibilità, aggiungiamo noi.