1 Marzo 2025
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È la siccità che Trump deve battere per conquistare il Canale di Panama

Donald Trump non è stato molto cortese con i suoi vicini: vuole la Groenlandia, intende far diventare il Canada uno Stato degli USA, ha minacciato di riprendersi con la forza il Canale di Panama. Peccato che il canale, una delle arterie principali del commercio globale, stia affrontando una crisi senza precedenti: il cambiamento climatico sta di fatto mettendo a rischio una struttura che movimenta beni per 270 miliardi l’anno. Le condizioni di siccità di questi ultimi anni hanno ridotto i livelli d’acqua al di sotto del normale, costringendo l’autorità del Canale a imporre severe limitazioni sul numero di navi in transito.

Tutti sanno che il Canale di Panama è fondamentale per il commercio globale: rappresenta uno snodo obbligato per gli scambi tra l’Atlantico e il Pacifico, e vale il 3% del volume del traffico marittimo globale. Le alternative, come il trasporto via terra o la navigazione attraverso Capo Horn, aggiungono distanza, costi e impatti ambientali significativi, mentre le rotte artiche sono (per ora…) stagionali e geopoliticamente complesse. Il Canale di Panama è dunque uno dei cosiddetti “colli di bottiglia” del nostro pianeta, uno dei pochi passaggi quasi obbligati che le navi sono costrette ad attraversare per muoversi da un angolo all’altro del globo.

Nel 1903 l’allora presidente Usa Theodore Roosevelt negoziò un trattato con Panama, il nuovo Stato appositamente strappato alla Colombia, ottenendo il diritto di avviare l’opera mastodontica che fu inaugurata nel 1914, all’interno di un’enclave statunitense, con tanto di apartheid coloniale. Ora il Canale – ampliato nel 2016 e lungo quasi 82 chilometri – è di nuovo sotto la sovranità di Panama, di cui è la principale fonte di introiti con 4,3 miliardi di dollari l’anno – ma Trump lo esige con motivazioni imperialistiche “classiche”.

Il Canale segue il profilo della terraferma su cui è stato realizzato, scendendo fino al livello del mare in corrispondenza della costa (dal lato atlantico e pacifico) e salendo invece di quota nell’entroterra, fino a oltre 26 metri. Per permettere alle navi di salire e scendere di altitudine è stato progettato un sistema a tre chiuse che consente alle imbarcazioni di superare una serie di dislivelli attraverso il pompaggio e il rilascio di acqua, che fluisce nel Canale da una serie di laghi e corsi d’acqua circostanti. Peccato che la crisi climatica e la siccità che ha ingenerato stiano rendendo il percorso sostanzialmente sempre meno praticabile per le navi. Specie il 2023, terzo anno più secco nei suoi 110 anni di storia anche per effetto di El Niño, ha reso la carenza idrica un’allerta permanente nel funzionamento di questa colossale opera idraulica artificiale.

I livelli dell’acqua nel lago Gatùn, il bacino del lato atlantico, sono ancora sotto la norma, dopo aver toccato il record minimo nel giugno 2023 e aver compromesso per mesi i normali traffici marittimi. Rispetto a una media di 36-38 al giorno, nel dicembre 2023 l’Autorità ha dovuto limitare il traffico fino ad appena 22 navi al giorno, creando ovviamente una megacoda di navi ad attendere il passaggio. Ai portacontainer più grandi è stato imposto di ridurre il carico scaricando container nei porti all’inizio del loro viaggio lungo il canale, per poi trasportarle via terra su camion o ferrovia.

Secondo gli esperti, non c’è tempo da perdere per aumentare l’acqua a disposizione del Canale perché le temperature più elevate attese in futuro causeranno siccità più gravi e l’evaporazione più rapida dei bacini esistenti. È l’acqua dolce del lago, che passa dentro serbatoi di stoccaggio, ad azionare tre serie di chiuse che consentono alle navi di attraversare una via d’acqua artificiale lunga 80 chilometri; alzando e abbassando il livello idrico si consente il passaggio tra la costa del Pacifico, che è più alta di quella dell’Atlantico e viceversa. Per fare tutto questo, sono necessari enormi volumi: il passaggio di una singola nave richiede 190 milioni di litri d’acqua. A conti fatti, ogni giorno, il canale utilizza due volte e mezzo la quantità d’acqua consumata dagli otto milioni di residenti di New York.

Per mitigare la crisi sono allo studio diverse soluzioni, tra cui la creazione di un nuovo bacino artificiale e l’uso della tecnica di cloud seeding delle nuvole per aumentare le precipitazioni. Tuttavia, queste misure richiederebbero anni e miliardi di dollari per essere attuate. Il progetto più ambizioso prevede la costruzione di una diga sul fiume Indio, che consentirebbe di incrementare il traffico giornaliero di 11-15 navi e garantire l’approvvigionamento idrico per la capitale Panama City. Il costo stimato è di circa 2 miliardi di dollari, con tempi di realizzazione di almeno sei anni.

Ma la proposta incontra forti opposizioni da parte delle comunità locali, che rischiano di perdere le loro terre e dovrebbero in migliaia trovare un’altra casa. E il drenaggio dell’acqua tende ad aumentare la salinità del lago, che è anche la fonte di acqua potabile per metà degli abitanti di Panama. Gravi sarebbero anche i danni per l’elevato impatto ambientale dell’opera, per la deforestazione e la perdita di biodiversità. Nel frattempo, come afferma l’amministratore del Canale, Ricauter Vásquez, “abbiamo dedicato tutte le nostre capacità a capire come svolgere i processi necessari al passaggio delle navi con il 25% di acqua in meno”.

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