A volte ritornano. O meglio, non se ne vanno proprio. È il caso della generazione elettrica a carbone – la più inquinate delle fonti fossili – che nel nostro Paese, sulla base di una decisione presa nel 2016, doveva terminare nel 2025. Lo stop era programmato per agosto. E invece, chissà. II governo ha infatti avviato una riflessione che a breve potrebbe portare (potrebbe perchè ancora non è stata presa una decisione) a uno slittamento della chiusura fino a cinque anni.
L’ultimo carbone tricolore
In Italia sono ancora in esercizio circa 5 GW a carbone, dei quali poco più di uno in Sardegna.
- Centrale di Fiume Santo della di EP Produzione, composta da 2 unità con potenza elettrica lorda complessiva di 640 MW.
- Centrale di Torrevaldaliga Nord-Civitavecchia di Enel, composta da 3 unità ciascuna con potenza elettrica lorda di 660 MW.
- Centrale di Brindisi Sud di proprietà di Enel, composta da 3 unità ciascuna con potenza elettrica lorda di 660 MW.
- Centrale del Sulcis di proprietà di Enel, composta da 2 unità con potenza elettrica lorda di 280 MW e 210 MW.
Le centrali di Civitavecchia e Brindisi erano pronte per la chiusura ad agosto 2025, mentre quelle che si trovano in Sardegna (Portovesme e Fiume Santo) dovevano essere chiuse definitivamente con una scadenza differenziata: una unità nel 2025 e le altre due una nel 2028 e una a gennaio 2029. Per queste ultime infatti si dovrà attendere il completamento del Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino che consentirà gli scambi energetici tra Sicilia, Sardegna e il resto d’Italia.
Nel 2024 la generazione da carbone in Italia è crollata del 71% sul 2023, arrivando a 3,5 TWh, cioè l’1,3% della produzione e l’1,1% dei consumi nazionali. Praticamente nulla.
Cattaneo e Descalzi
A favore dell’ipotesi rinvio si sono espressi hanno sostenuto gli ad di Enel e Eni in occasione del recente convegno della Lega sul nucleare. “Entro agosto – ha detto Flavio Cattaneo, ad di Enel – chiudiamo quattro centrali a carbone perfettamente funzionanti e sono quelle che ci hanno salvato durante la crisi del gas”, ha detto Cattaneo, aggiungendo che “la scelta è del governo italiano, c’è stata una scelta di anticipazione dei tempi, credo del governo precedente, ma oggi le condizioni sono diverse per la sicurezza: quanto meno ci penserei”. Forse ancora più netto l’AD di Eni, Claudio Descalzi. “La Germania – ha detto – ha predicato il Green Deal e lo ha imposto a tutti ma è arrivata al 28% di carbone con un prezzo spot di 80/€ MWh medio nel 2024 contro i nostri 107 €. Dunque, chi faceva il primo della classe ora sopravvive con il carbone, anzi, con la lignite che è la più inquinante”. Secondo Descalzi “sarebbe una follia pura chiudere le centrali a carbone in una situazione di alti costi o di scarsa disponibilità di energia: è una scelta politica ma anche di buon senso”.
Governo diviso ma spunta il lodo Pichetto Fratin
Nel governo ci sono opinioni differenti. Matteo Salvini è decisamente a favore della proroga per il carbone, Adolfo Urso molto meno, mentre il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, in una dichiarazione, ha confermato il fermo della produzione a carbone del 2025, ma ha anche aggiunto che quattro centrali non verranno smantellate ma tenute in una sorta di riserva operativa.
“Confermo la chiusura della produzione, come già previsto nel 2024. Lo smantellamento è un altro discorso: credo che dobbiamo tenere in stand-by le nostre centrali a carbone. Dunque, niente generazione, perché non c’è convenienza economica. Ma il quadro geopolitico è ancora tale che nessuno è in grado di garantirci che il gas non arrivi a 70 € al MWh, o che non ci siano disfunzioni nelle pipeline che ci forniscono. In quel caso, avendo lì le centrali a carbone, in questo momento ferme perché non è conveniente farle produrre, si ha una valvola di riserva”. E questa è l’ipotesi più probabile, peraltro gradita anche ad Enel, che possiede tre dei quattro impianti. “Io l’ho detto anche nei luoghi deputati alla discussione – ha
affermato l’ad Cattaneo – Enel può cederle anche al Gse o a chiunque se l’utilizzo è quello della sicurezza del sistema e non della produzione, quindi ci penserei”.
Ambientalisti contrari
Le principali associazioni ambientaliste italiane – Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto Club – sono fortemente contrarie alla proposta. “A valle del Pniec del 2019 – spiegano gli ambientalisti -, sono stati fatti molti regali per sostenere e aprire le centrali a gas attraverso il mercato della capacità e con i soldi delle bollette elettriche. I lobbisti del carbone, però, non hanno perso le speranze e hanno approfittato di qualche sfarfallamento dei prezzi del gas per tornare alla carica, forti di un’analisi quantomeno discutibile e, soprattutto, stuzzicando l’interesse di Eni ed Enel che, per ragioni diverse, ora propongono il rinvio”. Per le associazioni ambientaliste “è inaccettabile che nel 2025 si proponga ancora il carbone all’interno del mix energetico. Per il nostro governo tornare indietro sulla decisione assunta sarebbe davvero una pessima figura, e lo è già per le aziende che hanno avanzato la proposta”.
Il carbone nel mondo
I dati del Global Coal Plant Tracker mostrano che nel 2024 sono stati messi in funzione 44,1 gigawatt (GW) di capacità elettrica a carbone, mentre 25,2 GW sono stati ritirati, con un aumento netto di circa 18,9 GW. La capacità commissionata è stata di quasi 30 GW inferiore alla media annuale per il periodo 2004-2024 (72 GW), segno del continuo rallentamento della costruzione di impianti a carbone a livello mondiale.
La capacità globale a carbone è salita a 2.175 GW, con un aumento di 259 GW dalla firma dell’Accordo di Parigi nel 2015. La maggior parte di questa crescita proviene dalla Cina, che ha commissionato 30,5 GW di capacità elettrica a carbone nel 2024 – il 70% del totale globale – e ne ha 94,5 GW in fase di realizzazione, il massimo in quasi un decennio.
Al di fuori della Cina, la capacità di produzione di energia elettrica a carbone è diminuita, in quanto le chiusure hanno superato le nuove aggiunte nel resto del mondo. Nell’UE-27, i ritiri sono quadruplicati rispetto all’anno precedente, raggiungendo gli 11 GW, mentre il Regno Unito ha chiuso il suo ultimo impianto a carbone, diventando il sesto Paese a completare il phaseout dal 2015. Nei 38 Paesi che fanno parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’abbandono del carbone è stato particolarmente pronunciato: Il numero di proposte di impianti a carbone è sceso da 142 nel 2015 ad appena cinque oggi. Ma nonostante questi progressi, i ritiri dal carbone nei Paesi Ocse devono più che triplicare – da 19 GW a 70 GW all’anno – per allinearsi all’Accordo di Parigi. Un rinvio delle chiusure in Italia non aiuterebbe. A meno che non sia il “lodo Pichetto Fratin”, che manterrebbe sì le centrali ma solo sulla carta, come riserva strategica.